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BORAT
(BORAT: CULTURAL LEARNINGS OF AMERICA FOR MAKE BENEFIT GLORIOUS NATION OF KAZAKHSTAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 marzo 2007
 
di Larry Charles, con Sacha Baron Cohen, Ken Davitian, Pamela Anderson (Stati Uniti, 2006)
 
BORAT è da prendere, eccome, con le molle. In teoria è un film comico e satirico, nato da una serie televisiva, Ali G. Show, che ha reso il suo protagonista Sacha Baron Cohen, inglese - iraniano e di origine (attenti!) ebrea, celeberrimo presso le platee anglosassoni. In pratica, il film (girato, et pour cause, in Romania...) inizia mostrandoci un sedicente e paradossale regista kazako, ovviamente primitivo, razzista e omofobo, che vive in un paese dove la sorella ha vinto il secondo premio come miglior puttana nazionale, il fratello handiccapato è rinchiuso in gabbia e, ogni anno, si celebra una "Caccia all'ebreo" nella quale, come a Pamplona con i tori, la popolazione dà la caccia a delle maschere costruite secondo i canoni dell'antisemitismo più ripugnante. Ma BORAT, ed è li che i suoi intenti dovrebbero meglio definirsi, si trasferisce assieme al suo protagonista negli Stati Uniti. Incaricato di compiervi un reportage televisivo e sposare Pamela Anderson, accompagnato da una cinepresa (forse...) invisibile, Borat Sagdiyev incontra, come fosse possibile, ben di peggio: un armaiolo che gli mostra una pistola più che adatta all'uccisione di ebrei, un venditore di automobili che lo rassicura sul fatto che, mettendo sotto un gruppo di zingari la sua macchina non si farebbe un graffio, delle femministe alle quali racconta che "in Kazakistan è vietato alle donne riunirsi in più di cinque, a meno che non siano in una fossa o in un bordello". O gli spettatori di un rodeo a Salem (quella famosa per le streghe mandate al rogo alla fine del Seicento) che appplaudono freneticamente al suo auspicio "possa Bush bere il sangue di ogni singolo uomo, donna e bambino dell'Iraq...".

Sempre meno comico, mai progressivamente più moralista per non dire politico, BORAT fallisce e annoia non certo per impertinenza, ma per insipienza (alcuni sostengono per la perdita dei doppi sensi dovuti al doppiaggio). Non per il cinismo di provocazioni ideologiche piuttosto che scatologiche. Ma, come sempre, per un impiego maldestro del mezzo cinematografico: funziona, nella brevità di uno sketch televisivo, il sistema ( in parte usato da Michael Moore) che consiste nel fingersi più depravato e beota del proprio interlocutore allo scopo di farlo parlare togliendogli ogni inibizione. Ma sulla durata di un lungometraggio non si può far credere che si tratti talvolta di candid-camera; per lasciar trasparire altrove che gli intervistati stiano invece al gioco. Trasformare a piacimento delle pedine rivelatrici ed eventualmente comiche in banali oggetti di un calcolo: cui solo i milioni incassati da platee ormai annichilite audiovisivamente danno ragione.


   Il film in Internet (Google)

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