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I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN
(BROKEBACK MOUNTAIN),
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 febbraio 2006
 
di Ang Lee, con Heath Ledger, Jake Gyllenhaal, Michelle Williams, Hanne Hathaway (Stati Uniti, 2005)
 
Il primo western gay. Anche se gli autori raccontano che “si tratta di una storia d'amore contrastato, ma che avrebbe potuto svolgersi benissimo fra una coppia che non fosse composta da due maschi”. Sarà: ma intanto il fatto che il regista dotato quanto discontinuo di LA TIGRE E DRAGONE abbia voluto di introdurre questa sua storia nello schema più rigido fra tutti quelli dei vari generi cinematografici, nell'ambiente cosi refrattario alle innovazioni che non fossero in odore machista come quello dei cowboys avrebbe potuto costituire la grande sfida di I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN. Non che la problematica del rifiuto del diverso e delle diverse congetture freudiane non fosse già stata perlomeno sfiorata in passato (nelle esitazioni di certi personaggi di Clint Eastwood, ma già da prima di Montgomery Clift o di Anthony Quinn); oltre che dallo stesso Lee in un universo insolito per quel genere di tematiche come il suo ottimo HULK. Ma portare le tribolazioni gay nelle fasce sociali notoriamente tolleranti e generose come quelle del Texas o del Wyoming tra gli anni Sessanta e Ottanta, di inquadrare il tema della bi e omosessualità che fosse nel respiro lirico ed eterno del western pastorale poteva farne un momento memorabile.

Tutti questi condizionali per dire come non sia normale se dei 134 minuti di uno stracandidato agli Oscar (altro brutto segno?) funzionino soltanto gli ultimi 20: quelli, indubbiamente utili oltre che toccanti, del fallimento di due vite costrette a nascondere quello che nessuno dovrebbe negare di poter chiamare amore. Di due anime più o meno in bilico (sulla natura della loro sessualità come sulla loro libertà di dichiararla) che la società respingerà per sempre. I condizionali, insomma, non riguardano di certo gli intenti più che condivisibili di chi ha voluto adattare per lo schermo il racconto di Arnie Proulx GENTE DEL WYOMING. Piuttosto, sul fatto che quelle trentacinque pagine Ang Lee le abbia dilatate in una illustrazione accademica, apparentemente lussuosa ma in effetti essenzialmente decorativa di un universo Marlboro, fatto di camicie di flanella a scacchi e montoni al tramonto, stivali di cuoio virile, barbecue alla carbonella e armoniche a bocca. Saranno anche sontuosi i paesaggi del film: ma il fatto è che, considerate le implicazioni psicologiche e morali dei suoi due protagonisti, avrebbero dovuto essere perlomeno lirici, se non proprio metafisici.

A quell'anelito di purezza andava contrapposta l'ambiguità delle mascherate sociali e la loro feroce ignoranza: ma non sarà di certo con la caricatura di quelle scenette di meschineria coniugale, o il cliché dell'evasione fra i prostituti messicani che si riuscirà, come si usava dire, a lavare la testa agli asini.


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