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ALEXANDER
(ALEXANDER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 gennaio 2005
 
di Oliver Stone, con Colin Farrel, Angelina Jolie, Val Kilmer, Anthony Hopkins, Christopher Plummer, Jared Leto, Rosario Dawson (Stati Uniti,Gran Bretagna,Francia, 2004)
 

Capace del meglio come del peggio, Oliver Stone è un personaggio ingombrante. Cineasta “politico” che disturba (figuriamoci nei confronti del moralismo americano), efficace quando incide negli intrighi e nelle contraddizioni del potere (JFK o NIXON), grandiloquente ed impacciato quando si misura allo psicologismo mistico-freudiano (NATO IL 4 DI LUGLIO, ASSASSINI NATI, THE DOORS). Grande verista, è assai più abile a filmare la realtà (PLATOON) che non quella leggenda alla quale John Ford esortava di riferirsi.


In quella prospettiva non meravigliano, da parte di un cineasta di statura autoriale ma di energia inventiva declinante, gli errori che costellano un progetto coraggioso e indubbiamemente documentato ma terribilmente gravoso come quello di circoscrivere la leggenda immensa dell'imperatore dei Macedoni che sognò di fondere Oriente e Occidente. Coraggioso, in quanto fa sua proprio la tesi più “moderna” su un personaggio del quale esistono soltanto leggende o resoconti storici scritti secoli più tardi. Quella di un conquistatore che si trascina il solito tragico fardello di massacri e distruzioni: ma pure di un sognatore che addirittura elabora gli insegnamenti filosofici, scientifici, umanistici avuti dal suo educatore Aristotele per farsi portatore di un messaggio di universalità. Di un precursore del “melting pot”, che si accompagna a scienziati e uomini di cultura, evita il saccheggio e l'espropriazione dei beni dei vinti, ne rispetta e coltiva le tradizioni dopo aver apportato il patrimonio prezioso delle conoscenze greche.


Ma se l'eventuale messaggio a Bush e compagni sui percorsi afgano-irakeni finisce per risultare ambiguo è perché confusa è l'intera costruzione di un film che tutto vuole abbracciare. Di una sceneggiatura che saggiamente sembra privilegiare l'intimità del privato: ma lo risolve in interminabili predicozzi filosofeggianti che si infilano fra le scene di battaglie computerizzate ormai prevedibili . per infine perdersi in una improbabile più che sorprendente costruzione, con il flashback su una delle innumerevoli turbe del protagonista (l'uccisione del padre Filippo ad opera, forse, della madre Olimpiade) spostata prima del finale.


Il sacro e il profano, di qualcuno creduto debole dal padre e divino dalla madre, certo. Ma Stone tentenna fra le esaltazioni storiche di Tolomeo (un esausto Hopkins) e Plutarco ed i rinvii mitici ed epici dalle derivazioni omeriche del protagonista e la sua ammirazione per Achille al condizionamento edipico nei confronti di mamma Olimpiade. Angelina Julie, laccata come Gloria Swanson da “vecchia”; e più hollywoodiana di Elizabeth Taylor, avviluppata da serpenti di ogni specie mentre suggerisce voglie incestuose e sbuffanti furori erotici. Stone non risparmia Shakespeare (il tono dei proclami ed il soffio degli intrighi), ma nemmeno Welles (l'anello alla Rosebud). E' tentato dal soprannaturale (i sussurri al cavallo selvaggio; l'interessante sequenza virata all'infrarosso con la carica mortifera degli elefanti), sfida il tabù gay, ma si perde fra occhiaie al rimmel e danze del ventre damascate; il tutto con invadenza musicale firmata Vangelis. E con un protagonista irlandese di pelo nero (Colin Farrell) in parrucchino ossigenato che avrebbe comunque colato a picco anche un progetto meno pachidermico.


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