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BUONGIORNO, NOTTE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 marzo 2004
 
di Marco Bellocchio, con Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Roberto Herlitzka, Piergiorgio Bellocchio (Italia, 2003)
 
Ottimo segno, BUONGIORNO, NOTTE fa parte di quei film, e non sono tantissimi, che si alimentano di nuova vita se rivisti una seconda volta. Perché, anche se il film di Marco Bellocchio vuol essere un'opera di finzione libera dai doveri della cronaca quella - mai indagata, mai chiarita fino in fondo - del rapimento, del sequestro e dell'esecuzione di Aldo Moro si è infatti impressa nella memoria di ognuno di noi con tale forza da rendere impossibile, a prima vista, ignorarla.

Eccoci allora, fin dalle prime immagini di quel 16 marzo 1978 - siano esse ricalcate sui telegiornali d'epoca, o di una finzione rifatta a Cinecittà - a verificare, inevitabilmente, l'aspetto voluto da Bellocchio dell'appartamento di via Montalcini. O l'aspetto che il bravissimo Roberto Herlitzka ci ridà dello statista rinchiuso nel suo sgabuzzino. O, ancora, a quanto venga ricreato della figura della brigatista Anna Laura Braghetti; ed, in genere, del suo racconto autobiografico, dal quale Bellocchio ha tratto la sceneggiatura del film. Operazione di verifica, di ennesima riflessione sul peso delle diverse responsabilità di quei terribili 55 giorni di morte annunciata. Dalla quale il regista non tenta nemmeno di svicolare, visto che elenca molti di quei fatti nella loro cronologia, pubblica e privata. Dapprima, la retorica vaneggiante del discorso estremista; di quei quattro, chini, ansanti, ripresi in primissimo piano fin da quando introducono nell'appartamento la cassa contenente il corpo dello statista. Descritti - ed è una versione che, inutile dirlo, è lungi da trovare tutti consenzienti - come un assieme di dilettanti illusi, quasi dei ragazzotti spaventati. Avulsi dalla realtà sociale del loro tempo; quasi ininteressanti, tanto la loro superficialità morale e politica contrasta con la lucida serenità dello statista ("Quando le gente vedrà le foto del mio cadavere, vi odierà!") al quale sono confrontati quotidianamente e privatamente.

Nella clausura ammalata di quello spazio teatralizzato, BUONGIORNO, NOTTE metterà in scena la cronaca intima e banale di chi esclama "allora è fatta", interpretando come un gesto di adesione e di solidarietà nazionale il fatto che la loro stella sia stata sprayata in ascensore. La criminale irresponsabilità di chi si è cacciato in un tragico, irreversibile vicolo cieco recitando attorno al piatto di minestra la litania " la classe operaia deve dirigere tutto". Ma pure, uscendo da quelle quattro mura, le famose responsabilità di tutta una classe politica (la sequenza, ai limiti del surrealismo, dei politici che assistono impietriti alla messa celebrata da Paolo VI in assenza della salma negata dalla famiglia) che rifiuta, per non dire peggio, di negoziare; o di un pontefice, che si accontenta di lanciare un appello alla clemenza, "senza porre condizioni".

Marco Bellocchio non è però Francesco Rosi; anche se cresciuto sulle ali della contestazione e sulle idee di sinistra, il suo non è mai stato un cinema di analisi e di aperta denuncia politica. Ma di riflessione - certo, egualmente "politica" - sull'intimo: e sui traumi di una coscienza che un affare come quello di Moro non può non avere accusato per sempre. Cinema, il suo, degli effetti, più che delle cause: della rappresentazione dei confini fra ragione e follia, realtà e sogno. E dei rapporti con un padre, delle rivolta contro i condizionamenti della famiglie e dell'infanzia.

Bellocchio non sa, o non può spiegare. Ed allora BUONGIORNO, NOTTE diventa qualcosa di diverso da ciò che non poteva mai essere. L'immaginazione, il desiderio, l'illusione, la libertà creativa si sostituiscono progressivamente alla logica suicida e impotente. Da un fatto concreto, ed egualmente inspiegato (una sceneggiatura trovata effettivamente in una borsa di Moro) nasce una interpretazione inverosimile, ma forse vicina alla coscienza della brigatista che è al centro del racconto, e che Maya Sansa interpreta con grande sensibilità. Da cronaca ed indagine politica che non è mai stato, il film diventa una esplorazione, struggente e poetica dell'immaginario di Chiara, carceriera, ma pure bibliotecaria; dolcemente, dai chiaroscuri, dalle tinte marce della realtà storica il film scivola allora verso i territori della consolazione e della poesia. I soli a restare ancora a disposizione del creatore di cinema che si ritrova ai piedi del muro.

BUONGIORNO, NOTTE, finalmente, pare quasi illuminarsi. Dapprima con gli spezzoni del film di Dziga Vertov su Lenin o su quelle delle esecuzioni dei partigiani tratte da PAISA' di Rossellini. Poi, nella prima di splendide e struggenti evasioni oniriche, Chiara esce nella sole abbagliante di una scampagnata domenicale in famiglia fra i più anziani che danno il via ai canti della Resistenza. Infine, nell'appartamento notturno fra i brigatisti assopiti, Moro esce a sfogliare i libri della biblioteca costruita per annientarlo. Il suo sguardo si posa su Chiara: prima di tornarsene a casa, in uno slancio utopistico ormai celebre, nell'aria limpida, nelle strade deserte del primo mattino romano. Libero, come il film.


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