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21 GRAMMI - IL PESO DELL'ANIMA
(21 GRAMS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 marzo 2004
 
di Alejandro González Iñarritu, con Sean Penn, Naomi Watts, Benicio Del Toro, Charlotte Gainsbourg, Melissa Leo, Danny Huston (Stati Uniti, 2003)
 
Frammentazione e ricomposizione di una geografia umana, interazione fra dei personaggi e delle situazione incalzate con una determinazione feroce, quasi diabolica, ai limiti del sadismo. L'accanimento naturalistico e melodrammatico, costantemente sopra le righe del primo film del messicano Alejandro Inarritu, AMORI CANI, indisponeva ed esaltava. Di certo, non lasciava nessuno indifferente.

La cosa si ripete anche dopo l'avvenuto trasloco, solitamente normalizzante, in direzione Hollywood dell'irrequieto bambino prodigio. Con una differenza: che non siamo ormai più fra i quadrupedi randagi e le modelle deturpate di quella visione già morbosa di una megalopoli ad alto rischio urbano come Città del Messico. Ma in una vicenda che, pur nel suo accanimento scenaristico, risulta assai più conforme alla nostra quotidianità. Poiché coniuga i tormenti ( non più soltanto materiali o forse sociali, ma ormai morali ed etici) di un matematico (il sempre adeguatissimo Sean Penn) in attesa del trapianto di un cuore, di un ex-galeotto eccessivamente devoto e quindi deluso da Dio (Benicio Del Toro) e di una ex-drogata ricondotta ad una serena vita familiare (la bravissima Naomi Watts di MULHOLLAND DRIVE) ma che vedremo perseguitata oltre ogni dire dalle turbe che alimentano i destini degli altri personaggi.

Un mosaico fracassato e martirizzato. Che affronta il tema della donazione degli organi, certo; ma non solo. Un ventaglio di temi, che può appassionare, anche se non proprio allietare: l'angoscia del lutto e la tentazione della vendetta, la redenzione e la dannazione, il peso della colpevolezza e la fede nel riscatto, la paura della morte e il dovere di vivere (i 21 grammi del titolo essendo il peso dell'anima che, al momento della morte, abbandonerebbero il corpo).

Un mosaico impressionante che il regista cerca di alimentare, ed al tempo stesso diluire della sua sovrabbondanza melodrammatica, in una equivalente parcellizzazione formale: spezzando la continuità cronologica, illustrando prima gli effetti della cause, giocando sui diversi angoli della costruzione narrativa e delle reazioni dei suoi attori straordinariamente duttili.

Il risultato è enorme ed abnorme, affascinante ed irritante. Affascinante per la complessità dei rinvii emotivi: e l'abilità con la quale Inarritu riesce a condurli in porto in una conclusione tutto sommato coinvolgente e commovente.

Irritante, per un'originalità indubbiamente presente: ma anche inseguita ad ogni costo, con un talento cosi istigato a superare sé stesso da arrischiare ad ogni istante il naufragio nello sterile e, visto il tema, allora sconveniente compiacimento.


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