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ARARAT
(ARARAT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 giugno 2003
 
di Atom Egoyan, con Arsinée Khanjian, David Alpay, Christopher Plummer, Marie-Josée Croze, Charles Aznavour, Elias Koteas (Canada, 2002)
 
Come ricreare uno dei drammi storici più rimossi del secolo scorso, lo sterminio del popolo armeno (un milione di morti, tre milioni di deportati, tuttora negati dallo stato turco)? Come mettere in relazione questa tragica "dimenticanza" con il genocidio di riferimento del XX secolo che fece dire a Hitler, mentre si rivolgeva ai suoi generali per convincerli ad invadere la Polonia senza risparmiare i civili: "E chi mai si ricorda del fatto che i turchi massacrarono il popolo armeno nel 1915?".

Tradurre in immagini uno dei beni più preziosi dell'umanità, la memoria, senza la quale la barbarie è destinata a ripetersi all'infinito: autore di alcune delle opere più sottili ed affascinanti del cinema contemporaneo (IL DOLCE DOMANI, EXOTICA, IL VIAGGIO DI FELICIA) Atom Egoyan, canadese di origini armene è un cineasta della memoria. Del tempo, delle strutture, dei piani di racconto e di lettura che nel tempo sono destinati ad intersecarsi. Ma immagini come quelle dell'assedio e della strage di Van non possono essere mostrate impunemente: il realismo ha i suoi limiti, e non solo retorici. Ed il rischio è che alla nostra memoria, ormai anestetizzata dalla visione della violenza quotidiana da telegiornale, sfugga una volta ancora il ricordo, e la lezione da trarre da quei fatti. "Non ho voluto girare un film su un avvenimento, ma sulle sue ripercussioni. Di quel genocidio mi parevano essenziali le conseguenze: ho pensato allora di mostrarlo ricostruito, con un film nel film del quale assistiamo alle riprese, diretto da un regista (Charles Aznavour); ma osservato con gli occhi di un giovane di oggi."

Anche per evitare le trappole di un coinvolgimento emotivo di un soggetto portato con sé da sempre, Egoyan si è rifugiato più che mai in una di quelle costruzioni a mosaico che predilige. Non ha evitato di riprodurre gli avvenimenti (in uno stile volutamente distaccato, quasi oleografico ed accademico, enfatizzato da filtri e rifrazioni): ma si è dedicato soprattutto a ricostruire le tracce che quel dramma ha lasciato nelle esistenze di individui vissuti decine di anni dopo.

Ne è nato un film complesso: terribilmente sentito ed onesto, con il senso ammirevole di una riflessione, di un coraggio, e anche di una originalità che normalmente affidiamo alla creazione letteraria. Ma pure con il peso di una struttura che subisce i condizionamenti del cinema di finzione: e che, estesa com'è su così tanti livelli di lettura, finisce per perderne più di uno (quelli che riguardano il mitico pittore Arshile Gorky che fa da perno drammatico alla vicenda; quelli della "verità in video" riprese dal giovane, ad es.) per il suo più che encomiabile cammino.


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