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GERRY
(GERRY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 giugno 2005
 
di Gus van Sant, con Matt Damon, Casey Affleck (Stati Uniti, 2002)
 
Rivedere il primo film della trilogia sullo smarrimento provocato dalla scomparsa di un adolescente (mai spiegato quello della sparatoria di Columbine di ELEPHANT, confuso nella mitologia del rock quelli del Kurt Cobein di LAST DAYS, ancora più astratto quello dei due giovani che si perdono nel deserto di questo GERRY) provoca nello spettatore tutta una serie di reazioni.

La prima è quella di ritrovarsi di fronte ad un oggetto insolito, affascinante quanto straniante.

Gus Van Sant ha spesso alternato nella sua carriera opere molto leggibili, quasi ai confini del cosiddetto commerciale, anche se sempre di grande impegno come SCOPRENDO FORRESTER o WILL HUNTING ad altre più sperimentali. Ma l'inizio di GERRY, con la sua quasi totale assenza di dialoghi, l'inquadratura prolungata oltre il normale dei due giovani occupanti di una autovettura che scorrono nella prateria, il loro modo sconsiderato di inoltrarsi nel deserto ci situa in una situazione di interrogazione per non dire di disagio. Seconda reazione: la bellezza indicibile delle immagini di Harris Savides, ai limiti del compiacimento per qualche istante, ma subito la prepotente evidenza dell'ambiente. Girato in varie parti del mondo, dal Lago Salato dell'Utah all'Argentina, il paesaggio che fa da sfondo a GERRY s'impone progressivamente come uno dei protagonisti del film: concreto, presente, come quel deserto che non può che condurre a delle conseguenze tradizionalmente legato ad esso (il disorientamento, la stanchezza, la sete, la disidratazione, lo sfinimento, l'allucinazione) che il film descrive con un realismo privo di concessioni.

Nello stesso tempo, ed è la terza delle reazioni, tanta fisicità si trasforma in astrazione, dapprima, quindi in risonanze che si fanno metaforiche ed infine allucinatorie o, se preferite, metafisiche.Sempre più stilizzata, sempre più immateriale, la linea dello sfondo, la luce (dai primi chiarori dell'alba alle sagome che si perdono nel profondo della notte), la scelta delle inquadrature inducono alla riflessione più che alla contemplazione e all'ammirazione.

Senza rivelarvi quanto succederà ai due giovani protagonisti, quasi non occorre segnalare che di concreto e materiale non succederà nulla di particolare o di imprevedibile, considerato il caso. Gli accadimenti saranno invece aperti ed infiniti in termini spirituali: libero, lo spettatore, di interpretarli secondo i propri gusti. O, piuttosto, le proprie preoccupazioni.

Perché sono due i Gerry che si perdono nel deserto; e non solo in quanto portatori dello stesso nome. Diversi, o parti identiche di una medesima persona, essi traducono comunque l'idea di un itinerario metaforico: quello che un individuo può farsi della propria esistenza e della propria fine. Sconsiderata e giocherellona, fisicamente scatenata ed incosciente, la prima parte dell'avventura nel deserto dei due Gerry potrebbe infatti tradurre l'età dell'adolescenza. A questa seguirà la responsabilità imposta dall'età adulta: ormai sfiatati, impercettibilmente inquieti, i due ragazzi iniziano a ragionarci sopra: sull'itinerario da seguire, sulla constatazione dell'evidenza di non ritrovarsi più. La progressione drammatica, l'inquietudine, la ribellione, la resistenza, l'angoscia, la rassegnazione che invaderà il loro animo si farà sempre più specchio morale e spirituale dell'esistenza umana.

L'ultima parte del film, nel chiarore dell'alba che s'impone nell'immensità abbagliante sarà se possibile ancora più proiettata (dalla visione come dai suoni sempre più immateriali) nelle dimensioni metafisiche: interrogazione, timore ed infine appagamento nei confronti di una dimensione ignota e finale si esprimono con una emozione memorabile.

Una volta ripresosi, lo spettatore sarà infine libero di riflettere sui parallelismi, altrettanto eccitanti, che legano GERRY a ELEPHANT e LAST DAYS: quelli d ordine estetico (legati all'uso estremamente coerente del linguaggio cinematografico; ad un identico modo di procedere in situazioni e ambienti differenti ma con l'intenzione di giungere a significati equivalenti) che morali o spirituali. Difficile, a quel punto, esimersi dall'ammirare nella trilogia di Gus Van Sant uno dei percorsi più originali ed intelligenti, approfonditi e toccanti del cinema dei nostri giorni.


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