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EBBRO DI DONNE E DI PITTURA
(CHIHWASEON)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 aprile 2003
 
di Im Kwon-taek, con Choi Min-sik, Ahn Sung-ki, Yu Ho-jeong (Corea, 2002)
 
Probabile capolavoro del cinema orientale: amatori precipitarsi, allergici astenersi. Frammento splendido di una cultura nella quale fatichiamo sempre ad entrare; prima di soffermarci ammirati, poi incantati, eventualmente estasiati. Mai totalmente autorizzati a comprendere (certe ricorrenze della costruzione drammatica), figuriamoci poi giudicare. EBBRO DI DONNE E DI PITTURA (Premio per la miglior Regia all'ultimo festival di Cannes) è la biografia del primo pittore ad aver fatto a meno della scrittura nell'evoluzione iconografica della Corea dell'Ottocento; fra tentazioni progressiste e persistenza del feudalesimo, nel quadro delle lotte fra Cina a Giappone nella contesa dei territori attorno a Seul.

Ma c'è biografia e biografia. Quella di Jang Seung Up, detto Ohwon, artista leggendario, di origini miserabili, autodidatta, iconoclasta, alcolista, scomparso d'improvviso tanto da lasciare incerti punti di riferimento, non poteva che essere particolare. E così il modo con il quale è trascritta in cinema da Im Kwon Taek: rivelazione, ai nostri occhi occidentali, di uno dei grandi maestri del cinema dell'Estremo Oriente che ha già girato 98 film…

L'artista maledetto, allora: incompreso, deriso e osannato, in anticipo sui tempi. Ma EBBRO DI DONNE E DI PITTURA è soprattutto una riflessione sul rapporto fra la vita e la creazione artistica. Il tentativo di evidenziare in immagini il fluido creativo, il pensiero che si trasforma in forma, L'energia, che dalla mente si trasmette ad un corpo; alla continuità di un braccio, di una mano, fino al pennello. Che non va mai spinto sulla carta, ma trascinato, come ci insegnano nel film. Il che già rappresenta una sorta di metafora di come un modo di dipingere possa rappresentare un modo di affrontare la vita.

E' quasi inutile sottolineare quanto il quadro creato da Im Kwon Taek sia di una armonia plastica, di una bellezza contemplativa, ma al tempo stesso significativa di cui abbiamo perso il ricordo. Dove le scene monocrome degli interni che accolgono l'aneddoto si coniugano, in un rapporto assolutamente intimo, con una natura sensuale, lirica, sublimemente stilizzata.

Im riesce a fondere contemplazione e ri-creazione: avvicinando cosi, come in pochi altri esempi cinematografici, il mistero del processo creativo. Quello che permette di piegare alla volontà della propria sintesi artistica gli eccessi formidabili della natura, quelli più perversi della politica, o più derisori dei capricci umani. Per organizzarli in un ordine cosmico che dal segno dell'acqua si conclude in quello del fuoco, grazie ad un senso straordinario dell'armonia, dell'uso della luce e dei suoni, delle gradazioni cromatiche. Che sembra quasi flirtare con l'oleografia o l'accademismo: ma che ne sfugge ad ogni istante grazie all'energia di un erotismo irriverente e scatenato. Di un confronto fisico, che non ha nulla di consolatorio fra un individuo e l'ambiente che lo circonda. Con una pagina straordinaria: l' incontro erotico tra il vecchio pittore e la concubina che vuol dargli un figlio. Dalla tenerezza all'ardore, l'istante è brutalmente interrotto dall'irruzione sgherri: e due gocce di sperma si sprecano sulle cosce della giovane. Come altre gocce d'inchiostro, hanno sprecato la vita di Ohwon: che dipingeva il fantastico per riconfortare il suo popolo dalle durezze dell'esistenza.


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