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DEBITO DI SANGUE
(BLOOD WORK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 dicembre 2002
 
di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Jeff Daniels, Anjelica Huston, Wanda De Jesus, Tina Lifford, Paul Rodriguez, Dylan Walsh (Stati Uniti, 2002)
 
Paradossalmente, è la vicenda (o, se preferite, la sceneggiatura) a tradire l'ultima fatica del grande Clint dalle trasparenze cerulee. E si, che si trattava di andarci a colpo sicuro: con un romanzo prediletto dai buongustai del genere, di Michael Connelly; e un eroe, l'ex agente dell'FBI Terry McCaleb apparentemente altrettanto mitico e doverosamente in pensione, che viene a sapere che la donna che gli ha donato il cuore nuovo è stata assassinata. Il che lo obbliga, contro ogni regola, etica oltre che professionale, a buttarsi in una nuova indagine.

Sappiamo da tempo (perlomeno da quelli splendidi di GLI SPIETATI - UNFORGIVEN) di cosa è fatto l'universo poetico di Clint Eastwood. Di un personaggio che vive di soprassalti di un'energia antica, di una dignità morale che emerge da comportamenti magari eccentrici; ma che è ormai stanco e vulnerabile, solitario e magari pure un po`depresso. Un personaggio forgiato sul tema dell'ambiguità: che si assume la responsabilità di trasgredire all'ordine, poiché questo costituisce l'unico mezzo per venire a capo dell'ingiustizia e della perversione. O, come in questo DEBITO DI SANGUE, del lassismo.

Rivisitando i diversi generi cinematografici su un'aria delicata di jazz, portando a spasso la propria melanconia con una dose ormai leggendaria di compiaciuta autodistruzione, alimentandola però con dialoghi e situazioni argute (qui, le ciambelle consumate con gli sbirri beceri) l'attore di tanti film di azione si è cosi trasformato poco a poco in uno degli autori più rispettati (qualcuno ha detto il più grande) di una vecchia guardia mai doma.

Tutto questo comporta un certo stile espressivo. E quello di Clint si è sempre costruito su tempi allentati, atmosfere permeate di una sorta di languore: che permettessero pudore e contemplazione, mezze tinte crepuscolari, chiaroscuri decadenti, a somiglianza del proprio personaggio (il tutto intercalato da qualche soprassalto dinamico, memore dei tempi in cui Don Siegel gli aveva inventato il poco scrupoloso ispettore Dirty Harry).

Gli echi di tutto questo si afferrano ancora (a voler ben tendere l'orecchio) nella delicatezza un po' letargica, in una certa grazia abbandonica di un film come DEBITO DI SANGUE: assieme ai rischi relativi, la lentezza, il privilegio quasi ostentato dei tempi morti. O, come qui, la prevedibilità, la credibilità, e la semplificazione: che finiscono per prosciugare la trama dei suoi intrighi allettanti; oltre che affibbiare venticinque anni e venticinquemila rughe in più all'eroe malcapitato.


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