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BRUCIO NEL VENTO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 marzo 2002
 
di Silvio Soldini con Ivan Franek, Barbara Lukesova (Italia, 2001)
 
Silvio Soldini (a s.) con Ivan Franek
E' un Soldini diverso: e non solo perché segue immediatamente (anche se è stato "pensato" prima) l'incredibile successo, di critica e di pubblico, dell'agrodolce, inteso addirittura come comico, PANE E TULIPANI. Ed è una diversità che colpisce di petto lo spettatore dalle prime immagini, più elaborate rispetto a quelle del passato, di BRUCIO NEL VENTO; preludio a quella che è sicuramente l'opera più impegnativa, difficile e coraggiosa intrapresa finora dal sensibile regista ticino-milanese.

Impegnativa. Già per la scelta di illustrare, assieme a Doriana Leondeff, il romanzo "Ieri" di Agota Kristof, scrittrice ungherese esule in Svizzera. Che racconta la propria esperienza, se capisco bene oltretutto autobiografica, investendola in quella di Tobias, il fratellastro ritrovato dopo molti anni, nella medesima fabbrica di meccanismi di orologeria nel Giura. Tobias (Ivan Franek) che ha sempre desiderato Line (Barbara Lukesova), dai tempi dei banchi della scuola: in una di quelle ossessive, incontenibili passioni d'amore che lo indurrà ad usare il coltello, lo costringerà per sempre ad una fuga, dapprima materiale, quindi spirituale, in quella terra di nessuno che ben conosciamo, poiché è la nostra.

Difficile. Perché l'autore di L'ARIA SERENA DELL'OVEST e di LE ACROBATE non ha mai raccontato delle storie: ma composto dei mosaici, formati dalle relazioni che nascono fra i personaggi. Collanti, quasi casuali, nei primi film spensieratamente lombardi. Poi, man mano che la sua opera si approfondiva, sempre più simmetrici, obbligati nel sociale, al tempo stesso aperti, all'imponderabile, al fantastico. Legami un po' mistici, più o meno segreti. Fili misteriosi, delicati, rinvii spirituali spesso poetici che determinano misteriosamente il modo di vivere dei personaggi e del suo modo di far cinema. Ma, quella di BRUCIO NEL VENTO è poi una storia d'amore sconfinato, un melodramma esasperato e quasi esasperante; o, piuttosto, la constatazione di uno sradicamento? Tutto il fascino poetico, la sottigliezza psicologica sono contenuti in questa sua doppia natura. In questo suo vagare, continuamente scandito dal commento in prima persona: dalle incerte determinazioni dell'animo di questo aspirante scrittore, ossessionato da un ideale romantico, da una faticosa interrogazione sulla propria identità. Alla descrizione, più realistica, di solitudini altrettanto sofferte; quelle rappresentate dall'emarginazione culturale, dalle costrizioni sociali ed economiche.

Coraggiosa. Bastano queste premesse per comprendere quanto conti, nella banalizzazione del cinema contemporaneo, un film come BRUCIO NEL VENTO; per un regista italiano, il fatto di uscire dallo squallore del seminato per affrontare temi e culture universali ma straniere, situazioni di produzione non certamente di comodo che garantissero la più generosa delle aderenze (gli attori scelti nell'Est europeo, la lingua cèca e francese, nella versione originale).

Altrettanto arditamente, BRUCIO NEL VENTO si costruisce sulle sue opposizioni, anche sulle reazioni contrastanti, a volte quasi di rifiuto, che suscita nello spettatore. Una immagine contrastata fino all'eccesso, squarciata da luci giallognole e bagliori verdognoli; per entrare nell'intimità delle psicologie. Ed un'altra, chiara e semplice, per inserire queste psicologie nel contesto sociale. Un'aspirazione intellettuale come quella della scrittura, alla quale aspira Tobias; e la ripetitività mortificante alla quale lo costringe il lavoro nella fabbrica. L'adesione romantica, che ispira una passione come la sua; e l'esasperazione per il suo carattere scostante, o l'ostinazione del suo procedimento.

La straordinaria tensione che introduce nel film l'incontro fra Tobias e Line, fra la realtà ed i suoi fantasmi, giunge un po' tardi nell'economia della sceneggiatura. E tutto quanto precede, quanto serve alla messa in situazione della vicenda avrebbe potuto essere asciugato con profitto: l'alternanza delle avventure sentimentali del protagonista, i flash-back sull'infanzia, sul personaggio (molto forte nell'economia del romanzo) della madre, sui rapporti con gli immigrati dal destino spesso drammatico.

Ma tutto ciò è d'importanza relativa nei confronti della forza di descrizione e di astrazione del film, fra l'amarezza della sua denuncia esistenziale e la poesia della sua evasione poetica. Come tutto il cinema più grande, BRUCIO NEL VENTO costruisce i propri significati morali in relazione allo sfondo: e quel Giura dall'angosciosa solennità innevata, quella levigata Neuchatel che potrebbe essere Winterthur o Muralto, quella Svizzera abitata da tutti fuorché di svizzeri, quel ambiente in bilico clamoroso fra evidenza materiale ed assenza spirituale, fra lindore del benessere e sciatteria dell'indifferenza, finisce per concretizzare mirabilmente l'energia di quella fuga fantastica.


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