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BLACK HAWK ABBATTUTO
(BLACK HAWK DOWN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 febbraio 2002
 
di Ridley Scott, con Josh Hartnett, Ewan McGregor (Stati Uniti, 2001)
 
Il corvo nero del titolo sarà anche un uccello del malaugurio. Ma in BLACK HAWK ABBATTUTO è, prima di ogni altra cosa, il nome di un elicottero. Ed il suo abbattimento, la prima di una serie inaspettata di disavventure che ravviveranno, da quel 3 ottobre 1993, certi fantasmi americani che parevano sopiti nel tempo.

Quella di Mogadiscio - nell'ambito dell'intervento americano con le truppe di pace dell'Onu in Somalia - doveva essere un'operazione di polizia dalla semplicità esemplare. Catturare in centro città alcuni complici del signore della guerra Aidid; e condurli alla base americana in meno di un'ora. L'impresa durò invece quindici ore, e si rivelò catastrofica. L'intera città si tramutò in una trappola infernale per topi, diciotto soldati americani furono uccisi, settantatrè feriti, le vittime somale, fra miliziani e civili si stimarono a più di cinquecento. E la battaglia più sanguinosa affrontata dai marine dai tempi del Vietnam si concluse (proprio come nel film che, sulla base del libro - testimonianza di Mark Bowden ne segue alla lettera le tracce) in una ritirata umiliante fra la popolazione esultante; con la popolazione locale a compiere lo scempio di quanto rimaneva dei caduti. Poco tempo dopo, Clinton ordinava alle sue truppe di abbandonare la Somalia.

Chinarsi da spettatore su questa ferita non ancora rimarginata ignorando i fatti di quell' 11 di settembre sopravvenuto nel frattempo è ora impossibile: e se il discorso del film, le sue intenzioni, le reazioni che provoca sono in parte contrastanti se non proprio ambigue, se i suoi significati sembrano comunque amplificarsi a dismisura, ciò è in parte dovuto alla rincorsa allucinante fra fantasia e realtà, fra la storia e la sua rappresentazione spettacolare alla quale stiamo assistendo.

Brillante e contraddittorio, il film riflette, e non potrebbe essere altrimenti, la personalità altrettanto discontinua del proprio autore. Esteta virtuoso, capace d'immergersi nella realtà della promiscuità umana (BLADE RUNNER) come nella sua degenerazione più astratta (HANNIBAL), in raffinate oleografie post-moderne (IL GLADIATORE) come in divertissement elegantemente disinvolti (THELMA & LOUISE); oppure, d'inciampare in operazioni frettolosamente volgarotte come SOLDATO JANE o LA SCOPERTA DEL PARADISO, Ridley Scott costruisce questo BLACK HAWK DOWN tutto di un blocco.

Dal terrore tutto metafisico di HANNIBAL è passato a quello concreto, terribilmente reale di BLACK HAWK: due ore, e passa, di azione pura, incessante, inesauribile e implacabile. Sotto il fuoco dei cecchini che sparano ai 120 disgraziati intrappolati nella casbah come in un videogame esaltato dalle ultimissime tecniche di ripresa, fra il fumo dei pneumatici incendiati dai miliziani per confondere il carosello degli elicotteri sopra i tetti, ciò che più colpisce di questo masso di barbara materialità è la sua inesorabile negatività. Più ci si inoltra nella descrizione degli avvenimenti (2700 spezzoni: forse il vero eroe del film è Pietro Scalia, il grande montatore), più ci si rende conto che non ci sarà via d'uscita, nessuna remissione. Che, una volta tanto, i nostri tarderanno terribilmente ad arrivare.

La riuscita del film (e la sua risonanza anomala all'interno di un cinema solitamente trionfalistico) sta proprio in questa ripetitività, in questa sua monocorde, sconsolata fatalità. Che rende finalmente partecipi di una escalation insensata: quella che pretende risolvere la violenza con il solo uso di altra violenza, combattere gli effetti ignorando perversamente le cause. Il realismo brutale, un po' estetizzante e sommario di Ridley Scott ci riporta con i piedi per terra. Mostrandoci, fino all'intimità delle carni lacerate, quale realtà agghiacciante si nasconda dentro il fatto di cronaca reso ormai anonimo, assimilato nel rito sempre più indolore del telegiornale serale.

Ma se, da un lato, questa volontà di evitare ogni sentimentalismo, ogni riflessione o evasione che possa distogliere il film dalla sua immersione totale nella realtà pura e semplice infonde al film coerenza ed energia, dall'altro, finisce anche per sottolinearne le contraddizioni. Non so se BLACK HAWK DOWN rimarrà fra gli esempi memorabili di quello che è pur sempre un genere tradizionale, il film di guerra; e non solo perché la riflessione che suscita non nasce dall'indignato rigore morale di un SENTIERI DI GLORIA, dal delirio spettacolare di un APOCALYPSE NOW, dalle risonanze cosmiche di UN LA SOTTILE LINEA ROSSA. Ma perché, fra le righe di un virtuosismo che potrebbe anche essere soltanto sbrigativamente tecnicistico fa capolino un revanscismo che non è nemmeno quello del migliore John Wayne: cosi le scene del lungo prologo fra la camerateria anonima dei giovani inviati al macello, gli accenni irrisolti alla solita rivalità fra Delta Forces e Rangers, le figure (volutamente?) sfuocate degli strateghi al riparo, la virilità delle conclusioni verbali (quasi in clamorosa contraddizione con le immagini sconsolanti che andiamo osservando) che sembrano appartenere, se non ad un'altra epoca, ad un altro film: " Non lo capiranno mai, perché lo facciamo. E' solo per i compagni, per amicizia…".


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