Vent'anni dopo, di orrori e ridicolaggini in nome degli allora ancora mitici sesso, droga ed oggettistica griffata gli spettatori ne hanno digeriti parecchi: e non era di certo semplice per Mary Harron (autrice di un modaiolo I SHOT ANDY WARHOL) calcare la mano sulla vanità yuppie e le sue possibili degenerazioni. Occorreva trovare un equivalente, filmico e storico: ed è proprio ciò che non riesce alla regista, incerta se darsi alla satira (come nella prima parte), all'horror (come in quella centrale) o al fantastico. Come in quel finale ambiguo, nel quale si vuol far credere che il protagonista potrebbe aver sognato di compiere tali sfracelli. Nel libro, l'elencazione minuziosa di tutti gli orrori doveva servire alla causa dell'accusa al cinismo di una filosofia rampante; nel film, quel gommare più o meno elegantemente gli eccessi gore ed hitchcockiani del titolo finisce per sfociare nel vuoto.

Buon per la Harron che gli interpreti (da Christian Bale al solito Willem Dafoe) incidano bravamente nel senso della duplicità: ma di Lynch o Cronenberg ne nascono meno che di yuppie.