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ACCORDI E DISACCORDI
(SWEET AND LOWDOWN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 giugno 2000
 
di Woody Allen, con Sean Penn, Samantha Morton, Uma Thurman, Anthony LaPaglia (Stati Uniti, 1999)
 

Si può anche essere d'accordo a proposito di un film che s'intitola ACCORDI E DISACCORDI (SWEET AND LOWDOWN nella versione originale): qualcosa di piccolo e modesto, in parte pure, ve lo concedo, sgradevole. Ma il fatto è che un Woody Allen forse minore resta pur sempre qualcosa d'infinitamente più sorprendente, stuzzicante, in definitiva ammirevole del novantanove percento delle solfe in circolazione.

Cronaca commentata dell'esistenza inventata (ma "documentata" fino alla credibilità, un po' come succedeva in ZELIG) di qualcuno che negli Anni Trenta si definiva il più bravo chitarrista al mondo dopo Django Reinhardt, l'ultimo Allen è un oggetto strambo e scostante, supponente e fragile come il suo protagonista. Un musicista che suona divinamente e non smette mai di parlare; che si mette (tra le molte) con una muta, in una pellicola che assomiglia ad una del periodo del cinema muto. All'estetica (l'ambiente, il ritmo, la recitazione; ma pure lo sforzo al quale erano costretti quei film per esprimersi con le sole immagini) della quale siano stati aggiunte musiche e suoni. Con un personaggio presuntuoso e fatuo (insopportabile, e genialmente insolito Sean Penn) che finisce quasi per diventarci simpatico. Uno schizofrenico, non soltanto jazzista più o meno incompreso, genio e sregolatezza nella tradizione dei Parker e Coltrane. Un solitario, probabilmente poeta, di certo impossibile da starci assieme, misogino e puttaniere, bugiardo e pure ladro. Una sfida clamorosa (ed è uno degli aspetti interessanti del film) a quella che è una delle chiavi di ogni spettacolo cinematografico, la possibilità d'identificazione dello spettatore.

ACCORDI E DISACCORDI si adatta mirabilmente - con la misura, l'intelligenza, pure la grazia di tutte le opere di Woody Allen - a questa scomodissima situazione. Su delle musiche squisite, usando delle tinte ambrate, dei movimenti della cinepresa che rendono di favola quell'epoca della Depressione che di favola sapeva ben poco, con delle protagoniste femminili (dalla delicatissima Samantha Morton alla seducentissima Uma Thurman) accostate per la più azzardata delle scommesse a quell'antipatico dalle dita d'oro, il film finisce per collocarsi su un suo miracoloso equilibrio instabile. Un esercizio di alta acrobazia, fra le contraddizioni di personaggi assurdi, prima di essere poetici: eseguito con quella somma noncuranza che solo può permettersi uno dei più grandi registi (qualcuno lo ritiene ancora un comico) del cinema americano.


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