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DONNIE BRASCO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 aprile 1997
 
di Mike Newell, con Al Pacino, Johnny Depp, Michael Madsen, James Russo (Stati Uniti, 1997)
 
Una storia autentica; il che rassicura sempre la gente quasi che, chissà perché, quelle inventate fossero meno portatrici di verità.

Il fatto sta che nel 1975 l'Agente Speciale Joe Pistone del mai sufficientemente bistrattato FBI viene infiltrato in una delle famiglie più potenti della mafia della costa Est. Donnie Brasco, cosi lo hanno ribattezzato, prende fin troppo a cuore il suo periglioso compito. Tanto da legarsi d'amicizia assai più del dovuto con Lefty: colui che, inconsapevolmente, lo introdurrà fino ai vertici della Famiglia, "garantendolo" presso i padrini. Difficile dargli torto, perché è il personaggio più straordinario di questa faccenda. In un mondo che - da Raul Walsh a Martin Scorsese, da John Huston ad Abel Ferrara è stato sempre osservato attraverso i suoi epigoni, Lefty rappresenta la base. Il piccolo lavoratore della malavita, prossimo al pensionamento, ad un pensionamento oltretutto mediocre per lui che ha sempre dato tutto per la causa e la famiglia, lui che sognava di partirsene finalmente in barca dopo una vita guadagnata disonestamente.

C'est le ton qui fait la musique: e quella del film dell'autore del fortunato QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE è a tratti deliziosa. Merito non tanto della regia del regista inglese, che è efficace ma piuttosto anonima; quanto alla sua sceneggiatura. Abituati, come siamo, alle glorificazioni glamourous di quello che è ormai un filone cinematografico tutto d'oro, al fulgore del verismo di maniera di uno Scorsese come agli affreschi crepuscolari di Francis Coppola, ai virtuosistici esercizi di stile di De Palma come all'irriverenza dissacrante dei fratelli Coen, l'aria che tira in DONNIE BRASCO pare quasi inedita. Perché è quella che spira fra la manovalanza del crimine ma pure fra quella dei rappresentanti dell'ordine; mediocri o poveracci tutti inguaiati in difficoltà famigliari, preferibilmente di mezz'età e costretti ad espedienti, materiali o morali, per tirare innanzi a colpi di parchimetri scassinati. Eternamente in attesa della convocazione dell'Alto, quella per la missione che coincide inesorabilmente in una resa dei conti, ergo all'esecuzione.

Il quotidiano della Mafia, il rovescio della patacca fascinosa e perversa osservata dal basso rimane ovviamente quello dello Scorsese di GODFELLAS. Ma, senza scomodarlo, l'itinerario descritto da Newell si lascia guardare: perché trasforma una faccenda di tradimento e delazione piuttosto tradizionale in una storia, altrimenti coinvolgente, d'amicizia.

E perché Al Pacino e Johnny Depp sono formidabili. Nell'impassibile gravità di quest'ultimo, la sua liscia ambiguità che si vede ricompensata - per sette anni di carte false, per aver venduto la propria anima in nome del senso del dovere - dalla solita medaglia accompagnata da un assegno di 500 dollari: in un finale melanconico che chiude intelligentemente il film.

E nell'indimenticabile istrionismo di Al Pacino, piccolo killer spietato ed inquieto, malfagottato e triste. Bisogna vederlo e rivederlo, mentre vuota le tasche dei suoi quattro spiccioli, depone la pistola ed i documenti in un cassetto, lo lascia socchiuso nella credenza del suo appartamento scuro: convinto com'è, che dai vertici non gli perdoneranno mai di essersi lasciato abbindolare dal suo infiltrato d'amico.


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