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ASJA E LA GALLINA DELLE UOVA D'ORO
(KOUROTCHKA RIABA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 maggio 1994
 
di Andrej Konchalovski, con Inna Ciurikova, Aleksandr Surin, Ghennadi Jegoricev, Viktor Michailov (Russia, 1994)
Dopo dieci anni passati negli Stati Uniti, dopo averci mostrato la più desiderabile delle Nastassie Kinski (in MARIA'S LOVERS), l'intellettuale-aristocratico russo che è sempre riuscito a svicolare da Stalin a Brejnev, da Gorbachov a Eltsin (ed è una delle ragioni per la quale non sono in pochi a diffidarne) è tornato a casa.

"Dopo Hollywood, avevo voglia di fare un film piccolo: la mia gallina era la meno cara del mercato di Mosca. L'ho portata a Bezvodnoie, dove nel 1967 avevo girato LA FELICITA' DI ASJA, che il regime comunista si tenne in un cassetto per vent'anni. E qui ho ripreso la storia di Asja, rimasta con la sua gallina a lottare contro i guai combinati dalla perestrojka. Gorbachov li ha costretti a diventare responsabili. Ma i russi non saranno mai dei democratici: ma dei disordinati, come i messicani o gli indiani. Ai tempi della mia prima Asja c'era la certezza della miseria; ed una sorta di guerra permanente contro l'autorità. Tutti sapevano contro chi lottare. Oggi ci sono così tanti nemici... Il potere dei soldi, ad esempio. Ho ritrovato il villaggio di allora, che è sempre senz'acqua; ma con la gente più arrabbiata, perché dovrebbe arricchirsi, e non ci riesce".

Così, più incollato all'attualità di quanto il tono scanzonato del film potrebbe lasciare apparire, tra i campi infiniti di un paese che anche quando filmava lo Silvester Stallone di TANGO E CASH aveva sempre negli occhi, Konchalovski cerca d'inquadrare quei nuovi nemici. Ed il suo film è un po' come questi: mira a molti bersagli, ma alla fine non sai più esattamente e chi stia sparando. Forse perché i bersagli, come i nemici, sono vaghi, mediocri, incerti.

Inizia riprendendo la stessa Asja di allora (la bravissima Inna Ciurikova) che torna dal mercato: e che si lamenta in un lungo monologo, rivolta direttamente alla cinepresa. È il tono del film: protestatario, anarchico o reazionario secondo i punti di vista, un po' incasinato, sanguigno e generoso. "Prima non c'erano che i comunisti, a rubare. Ora rubiamo tutti: è questa la democrazia!" Con alcune decine di anni in più, con tante illusioni in meno, ritroviamo i personaggi del primo ASJA (dei quali Konchalovski ci mostra ogni tanto alcune sequenze nello splendido bianco e nero di allora), gli entusiasmi di quel realismo sociale trasformati in un apologo tra il cinico ed il grottesco.

Perché Asja vive ormai sola distillando cattiva vodka, il figlio campa rubando in città, il padre sta con una zingara ed il paese è in rivolta contro un neocapitalista da operetta, proprietario di una segheria che tiene desto il villaggio, di una lavatrice, un bagno e persino un tostapane che gli abitanti ammirano esterrefatti.

Nel suo disordine, nella sua golosa volontà di abbracciare quell'umanità frastornata, nell'emozione di filmare gli stessi attori di allora con molte rughe, tanti chili in più, il film può anche irritare (per l'approssimazione, vogliamo chiamarla così, ideologica): ma in un'epoca di film calcolati col misurino ha la forza di entrare fra la gente, la felice presunzione di essere di tutti. Primi fra tutti quegli abitanti di un kolchoz perduto: "eterni come dei fili d'erba sui quali è passato ogni genere di stratempo, e che sempre sono riusciti a rigenerarsi".


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