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FORREST GUMP Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 novembre 1994
 
di Robert Zemeckis, con Tom Hanks, Robin Wright, Gary Sinise, Sally Field (Stati Uniti, 1994)
 

Per uno scienziato che rispolvera l'eterno bisticcio sul Q.I. colorandolo di tinte ormai hitleriane (poiché intelligenti si nasce, poiché per quanto ci sia da fare in seguito i giochi sono praticamente ormai fatti, tanto vale assumere un mondo sempre più governato dalla frangia dal quoziente privilegiato; alla faccia degli sciagurati, pretesi Untermensch) ecco che subito l'America sembra irriderci con il successo imprevisto e travolgente di FORREST GUMP. Della vicenda, cioè, di un idiota che non solo sopravvive agli Anni 60, 70, 80 che sappiamo: ma che - seppure a modo suo - interviene e modifica il corso della Storia.

Interpretata da un determinante, convintissimo Tom Hanks quella dell'ultimo film di Robert Zemeckis è una favola. Perché si fonda su una metafora: quella di un uomo che sapeva correre più in fretta degli altri. Così, a questo sempliciotto allevato nel rispetto di Dio e della morale da una madre esemplare nell'altrettanto esemplare Alabama, riesce di liberarsi dell'apparecchio ortopedico al quale era costretto dal suo handicap; dei compagni cattivi che lo sfottevano fino a conquistarsi la laurea, anche se solo per il fatto di superare tutti a rugby; sopravvivere al Vietnam guadagnandosi medaglie, sempre grazie al fatto di correre come una lepre sotto il napalm; facilitare l'apertura dei rapporti Cina-Usa facendosi campione di ping-pong; ispirare Elvis nelle sue mosse pelviche e John Lennon a terminare "Imagine", incontrare Kennedy, Nixon e Johnson e farsi miliardario nell'industria dei gamberi, correre da costa a costa con il seguito di seguaci che ora guardano a lui come al solito messia...

FORREST GUMP è un film - lo si è ormai visto - destinato a fare discutere: è un film complesso ed intelligente, sicuramente meno innocente e poetico del suo eroe, moralista e probabilmente ambiguo.

Complesso, FORREST GUMP lo è per la sua fattura. Finora, gli straordinari successi commerciali di questo allievo prediletto della scuderia Spielberg erano dovuti alla sua maestria nell'uso degli effetti speciali (ROGER RABBITT, o LA MORTE TI FA BELLA), ed alla sua capacità di venire e capo di sceneggiature complesse per non dire tortuose (RITORNO AL FUTURO, soprattutto il secondo episodio). In FORREST GUMP, Zemeckis porta all'apice l'uso degli effetti speciali. Nel senso che - forse per la prima volta, e prefigurando anche qui un futuro d'inquietanti, o comunque tutti da discutere interrogativi - essi non si notano: grazie al graphic-computer l'immagine non è più truccata, ma letteralmente inventata. O appunto, se preferite, manipolata. Zemeckis circonda Forrest dal napalm del Vietnam come riprendendolo dall'interno di quell'inferno, lo fa intervenire al celebre meeting pacifista del Jefferson Memorial di Washington (2000 comparse, ma che le immagini digitali trasformano nei 200'000 mitici partecipanti!) e rivolgersi alla folla, incontrare Kennedy e Johnson. Non solo sovrapponendo, come nei celebri documentari truccati da Woody Allen in ZELIG: ma modificando i movimenti della bocca dei Presidenti, per far dir loro ciò che faceva comodo...

Intelligente, FORREST GUMP lo è per la facilità quasi irrisoria con la quale il suo autore riesce a far scivolare il suo protagonista nelle pieghe di trent'anni di storia americana; ed a situarlo, ogni volta, al punto giusto. Disincantato e dissacrato: ma nemmeno cosi tanto, se è vero che denuncia il Watergate, riavvicina i Bianchi ai Neri, ed argomenta a tu per tu con i Grandi. A far ridiscutere, alle soglie del duemila, milioni di spettatori sulle frontiere che separano la generosità, dall'ingenuità e la sopraffazione: in una immensa catarsi, costata decine di milioni di dollari ma destinata a guadagnarne dieci volte di più, che l'America sembra offrirsi in nome del "gumpismo". Ed a rilanciare il romanzo (di Winston Groom) all'origine del tutto: poche decine di migliaia di copie nel 1986, un milione mezzo oggi...

Ingenuo e puro come il suo autore, ormai paragonato (dal New York Times) a Bill Clinton, ed autore di detti ormai definitivi, quali "Non c'è di stupido che la stupidità", o ancora "Se c'è una coda, mettetevici: può sempre servire "?

C'è da dubitarne. Perché se, alleando tecnica a sceneggiatura Robert Zemeckis ha firmato il suo film più compiuto, resta il fatto che la sua scrittura è marcata più dall'abilità e la furbizia che dall'invenzione, la commozione o la poesia. In questi casi ad andarci di mezzo è la chiarezza: e FORREST GUMP è allora, ed infine, ambiguo. Certo, l'inesauribile corsa del suo eroe è più che evidente: è quella solita, determinata ed incrollabile del positivismo americano. Correndo, Forrest Gump non solo evita di pensare. Ma sopravanza - anzi crea - l'avvenimento. Determina il destino: sia esso morale, sociale o economico. "In Gump we trust!", può ormai intitolare il Washington Post: dove Gump ha ormai preso il posto del Dio dollaro.

Da un lato, quest'America di Gump. Dall'altro, quella dell'unica cosa che gli sfugge a lungo, e definitivamente, quando è vittima di una malattia che ancora non sappiamo (nel 1980) essere l'AIDS: la sua donna. Quella di Jenny è l'altra America: e che Zemeckis sembra relegare inesorabilmente tra i perdenti. Quella che si interroga, magari a colpi di droga, sesso e rock and roll; ma pure dei vari movimenti di liberazione che hanno segnato intere generazioni.

Che forse non ha corso - come Gump - per evitare di affrontare la realtà: ma che ha inseguito, magari soltanto utopie, sempre sulla propria pelle.


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