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JURASSIC PARK Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 settembre 1993
 
di Steven Spielberg, con Sam Neill, Laura Dern, Jeff Goldblum, Richard Attenborough. (NETFLIX) (Stati Uniti, 1993)
 

Quel meteorite, che pare ci abbia privato del piacere di convivere con i lucertoloni che sapete, può anche andare a nascondersi: è un bruscolino, messo a confronto con quanto ci sta sommergendo. L'ultima etichetta del nostro cataclisma ricorrente è quella del merchandising: e anche a volerla ignorare ad ogni costo, è impossibile non subirla sotto forma di hamburger e coni gelato imballati dinosauro, serate-disco costumate apocalisse, giornate nazionali dedicate ai brontosauri, librerie votate ai sauri, giornate cosiddette tematiche alla radio, gomme, matite e gadget scolastici per far capire ai pargoli che occorre diffidare dai tirannosauri più che dai colleghi erbivori. Che tutto ciò sia provocato dalla miseria di un film può anche indurre a riflessione: ma, questo cinema, lo si diceva anche di lui come dei dinosauri, non era ormai estinto?

Nella bufera, si aspettano al varco i cosiddetti critici: vedrai, figurati se perdono l'occasione per sparlarne. E la tentazione, non fosse che per difendersi in qualche modo dal fast-food generalizzato, è invero grande. Ma affrontiamo la dura realtà: JURASSIC PARK non è un brutto film, e Steven Spielberg - anche se ormai perde probabilmente troppo tempo a gestire tutto quel po' po di roba - è un regista vero.

Certo il quadro (oltretutto annacquato rispetto al best-seller originale di Michael Crichton, dal quale sono stati accuratamente gommati tutti quei passaggi che potevano indurre gli spettatori a spremersi pericolosamente le meningi) è quello che è: ad uso e consumo sub-adulto. Storia e personaggi ridotti all'osso: che sono poi quelli degli archetipi dell'Avventura. E la morale (certamente il punto più debole del film) squallidamente qualunquista: non è per supponenza di una (fanta) scienza visionaria, o per eccesso d'ingordigia degli speculatori, o semplicemente per la presunzione di sostituire alle leggi della natura quella di una società e di un'etica in via di degenerazione, che il parco dei dinosauri, inventato dal solito magnate-matto grazie ai miracoli della bioingegneria, precipita nella tragedia (e arrischia l'apocalisse-bis planetaria). Per carità. Il solo personaggio che invita ogni tanto a riflettere è quello di Jeff Goldblum: sennò, tutto è rassicurantemente circoscritto ad un'isoletta dalle parti di Costarica, la responsabilità è soltanto quella di un programmatore di computer un po' piu avido e svitato degli altri, e l'enorme operazione serve semplicemente a far da tela di fondo all'azione.

Eppure, JURASSIC PARC si lascia vedere: e, per smaliziati che siate, difficilmente abbandonerete la sala prima che scorrono i titoli di coda... Perché il film di Steven Spielberg è, una volta ancora, un formidabile, incredibile atto di fede. Come quella dei ragazzini che l'autore introduce sempre nelle sue storie - dollari o non dollari, anni che passano ed illusioni che crollano - la qualità dello sguardo di Spielberg rimane immutata: è quella dell'eterno Fanciullo, meravigliato e capace di meravigliare, stupito dal portentoso giocattolo che si ritrova fra le mani. E se è bello, come diceva Baudelaire, ciò che meraviglia, se il cinema è - prima di ogni altra cosa - la qualità di uno sguardo, ecco spiegato perché, malgrado tutti quei difetti di cui si diceva, JURASSIC PARC è un film che non lascia indifferenti.

È un film, tanto per cominciare, dalla qualità tecnica (tanto per usare una parola antipatica) assolutamente sbalorditiva: sembrerà banale, in un'epoca nella quale il concetto d'impossibile incomincia a sfuggirci, parlare di verosimiglianza. Ma il modo con il quale in JURASSIC PARC sono inseriti i mostri preistorici è straordinario: non solo non si nota ormai più la transizione fra l'attore in carne ed ossa e quello ricreato artificialmente. Ma questi è ormai così perfettamente integrato all'interno degli schemi linguistici specifici e tradizionali (panoramiche, zoomate, prospettive, controcampi, carrellate; ma anche progressione drammatica, gestualità, montaggio) da rappresentare ormai per lo spettatore il concetto di " verità " indiscutibile. Dalla loro prima all'ultima apparizione, gli animali di Spielberg sono osservati con una naturalezza, una felicità che solo possono nascere dall'innocenza (o, diranno i più maligni, dall'incoscienza): essi compiono allora il miracolo di apparire come delle visioni fantastiche, addirittura poetiche nei momenti più ispirati, ed al tempo stesso terribilmente tecniche e concrete.

Certo, il meraviglioso spielberghiano non approda più sulle rive delle paure metafisiche di DUEL o de LO SQUALO, non si organizza più sulla dinamica irresistibile di certe sequenze di INDIANA JONES, non ha più la grazia misteriosa e commovente di E.T.: i suoi personaggi banali e borghesi, così simili a quelli dei Ford e degli Hitchcock tanto ammirati, si sollevano dal grigiore solo se alimentati dai soprassalti dello stile, magari quello grafico della logica imprestata al cinema d'animazione (come nella sequenza del tragicomico inseguimento a nascondino fra i mostri ed i ragazzini, nell'enorme cucina del centro).

Dimenticando per un istante la salsa nella quale bagnano i dinosauri di JURASSIC PARK - che è poi quella nella quale siamo dentro fino al collo tutti i santi giorni - riusciremo ancora ad incantarci con il giocattolo del bambinone milionario: poco o tanto, ogni epoca ha i giocattoli che si merita.


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