Povero Indiana Jones: non solo deve compiere inenarrabili, mozzafiato acrobazie alle quali è pur sempre abituato, grazie al signor Spielberg. Ma deve pure pensare, cosa della quale il regista dei dinosauri non si è mai particolarmente preoccupato. Ha però un jolly - forse il più prezioso - dalla sua: ed è la sua faccia. Che è quella dei Cooper, dei Grant (ancora Hitchcock...) o dei Peck: lo sguardo limpido, innocente specie se perseguitato, virile senza dover essere macho degli Eroi in grado d'incutere fiducia ai miseri mortali. Quelli entrati in una sala oscura tra un guaio quotidiano e l'altro. Harrison Ford è la seconda carta che Andrew Davis ha giocato alla perfezione, sulla strada che conduce alle vette (meritate) del box-office stagionale.

Resta il suo mestiere, che non è poco, come si era già visto nei suoi quattro film precedenti, tutti girati a Chicago: resa intelligente degli ambienti - ospedali, case d'abitazione, paesaggi naturali - che Davis coglie nella loro verità, e non soltanto per puro sfizio estetizzante. E, sembra quasi ovvio dirlo, senso dell'azione, del ritmo quasi ossessivo.

Certo, IL FUGGITIVO non è INTRIGO INTERNAZIONALE, al quale (per l'ultima volta...) si pensa: la fuga di Cary Grant inseguito dall'aereo insetticida nei campi di grano era altrettanto coinvolgente di quella di Harrison Ford. Ma il gioco, sapiente fino alla perfezione, del disegno registico di Hitchcock, lo innalzava sul gradino più alto: quello delle forme astratte, toccate dalla grazia, che rinviano a significati diversi, eterni, metafisici, poetici.

IL FUGGITIVO non trascende mai da quello che vuol (o può) essere: un ottimo, godibilissimo film d'azione. Basta, e ne avanza, per consigliarvelo.