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HOFFA - SANTO O MAFIOSO?
(HOFFA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 febbraio 1993
 
di Danny De Vito, con Jack Nicholson, Danny De Vito (Stati Uniti, 1993)
"Il 30 luglio 1975, uno degli uomini più potenti e temuti degli Stati Uniti scompariva senza lasciare traccia: James Riddle (letteralmente: Enigma...) Hoffa aveva consacrato la propria vita al sindacalismo; e fatto dei Teamsters (il sindacato dei camionisti) quella che Bob Kennedy aveva definito "la più potente delle istituzioni del nostro Paese, dopo il governo". Spregiudicato, dinamico, nato dalla gavetta delle prime lotte a colpi di bastone per le strade di Detroit, di un modesto sindacato di 400 membri Hoffa aveva fatto una organizzazione di più di due milioni d'aderenti: e della cassa di risparmio formatasi con le quote dei lavoratori un capitale che oggi vale 11 miliardi di dollari, e che non poteva non far gola a molti...

Angelo o demonio? Per Danny DeVito, che mette in scena la sceneggiatura del celebre David Mamet, non ci sono dubbi: Hoffa è un protagonista dalla statura eccezionale, qualcuno che ha dedicato tutta la propria vita agli altri, che ha permesso ai lavoratori privi di ogni difesa di accedere alla classe media. Qualcuno che ha condotto una vita estremamente movimentata, perché nata da scioperi durissimi, durati anche degli anni, nel sangue, il sudore e la violenza. Nessuno - a parte i lavoratori - voleva i sindacati: e gli scioperi erano repressi dalla polizia, e dal padronato che non esitava ad assoldare la malavita per soffocare i movimenti. Cosa poteva fare qualcuno come Hoffa per lottare ad armi pari? Soltanto ricorrere a certi elementi che potevano permettergli di controbattere. Lo si è trattato di gangster, di corrotto: in effetti ha continuato a vivere nel medesimo, modesto appartamento della periferia di Detroit. Non era tanto lui che si cercava di eliminare: ma il movimento dei lavoratori.

È in quegli anni Cinquanta che compare scena un giovane giurista, fresco di una laurea ottenuta laboriosamente all'università della Virginia. Timido e vulnerabile, il più giovane dei fratelli Kennedy gode ancora di una modesta reputazione: ed una campagna anti-corruzione costituisce uno dei mezzi più sicuri per farsi conoscere. Lo scontro Kennedy-Hoffa diviene leggendario: nominato Ministro della Giustizia dopo l'avvento del fratello alla presidenza, Bob lotterà a lungo per incastrare Hoffa, reclutando decine di giuristi ed agenti allo scopo, e definendo i Teamsters "un'organizzazione di assassini, ladri, ricattatori, trafficanti di droga, prosseneti e sodomiti (sic)..."

Denunciato da un parte dell'opinione pubblica e della stampa per i suoi rapporti con la Mafia, Hoffa viene accusato di racket, corruzione, ricettazione, frode elettorale, collusione con il crimine organizzato. Sospettato di aver finanziato la campagna di Nixon del 1960 e di essere il principale azionista dei casino di Las Vegas, Hoffa viene condannato nel 1964 a 13 anni di reclusione. Graziato da Nixon sette anni dopo, riprende i contatti con uno dei suoi principali associati, Anthony Provenzano, "membro presunto" della Famiglia Genovese.

È con Provenzano che, il 30 luglio del 1975, Hoffa ha un appuntamento in un motel del Michigan. Mentre Provenzano sta giocando a carte con un gruppo d'amici, Hoffa scompare per sempre: qualcuno dirà la Mafia, altri i Teamsters. O ancora più in alto: secondo alcuni, Hoffa avrebbe cospirato per eliminare Castro, poi nell'assassinio di John F. Kennedy....

Angelo o demonio, HOFFA è anche un film. E qualcuno diceva che è mille volte più facile riuscire a filmare un ciabattino che Napoleone... Danny DeVito aveva filmato i due coniugi di LA GUERRA DEI ROSES con rabbia, originalità e determinazione: e già si guardava a lui come ad uno specialista della black-comedy. Qui, al contatto con la rabbia di questo personaggio immenso (che Jack Nicholson rende con la forza abituale, riuscendo a sottolinearne la monomania senza cadere nello strabuzzamento d'occhi che gli è spesso abituale) tutto scolora: il film è lungo e ripetitivo, condotto con la professionalità tipica di Hollywood, ma in modo prevedibile, quasi accademico.

Un film nel quale si vuol mostrare tutto, dall'inizio di una situazione al suo esaurimento. E nel quale - proprio per questa mancanza d'ellissi -non si riesce a mostrare ciò che veramente importava: la duplicità, la contraddizione, il mistero e quindi l'umanità del personaggio.

Il fascino del quale rimane ancora tutto da scoprire."


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