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ALIEN 3
(ALIEN 3)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 ottobre 1992
 
di David Fincher, con Sigourney Weaver, Charles Dance (Stati Uniti, 1992)
 
"C'è del nuovo dalle parti del pianeta Fiorina: Ellen Ripley - l'eroina delle due puntate precedenti della saga iniziata dal celebre film di Ridley Scott - è incinta del mostriciattolo alieno. Come sia successo, non lo comprende nemmeno lei; figuriamoci noi.

Come succede sovente con le immagini sguscianti del cinema, magari all'insaputa medesima degli autori, queste faccende di soprassalti da marchingegni bavosi, lungi dall'essere confinate in galassie recondite e vagamente futuribili, riflettono encomiabilmente l'aria dei tempi. Così, il primo ALIEN del 1979 affermava decisamente che le cose erano magari meno rosee di come andavano dicendocele Spielberg e Lucas: non solo era ormai una donna a dover risolvere i problemi più seri, ma al maschio toccava il compito più ingrato, quello di farsi cavare dal ventre la bestiaccia che sapete.

Passano sette anni, e la volitiva Sigourney ricompare alla testa dei marine: James Cameron sostituisce Ridely Scott alla regia, e l'accoppiata Rambo-Reagan cerca di far dimenticare il Vietnam più coi muscoli che con la psicologia. Ripley trova il tempo di togliersi il mitra da tracolla, per ripartire per la terra con un'orfanella dello spazio. Ed è qui che le cose si guastano, non fosse che per ridarci questa terza edizione: il naufragio conduce ad una colonia penitenziaria dello spazio, abitata da una sorta di setta fondamentalista. E, Ripley, inutile ripeterlo, si porta appresso il mostro: aliena dentro, demonio fuori. Che per i reclusi-religiosi rappresenta non solo la tentazione, ma addirittura il Male.

In tempi di crisi e di dubbi, di AIDS e contagi sempre più eterosessuali, ecco che ALIEN insomma, si fa metafisico: e Ripley è rasata a zero, proprio come la Falconetti di Dreyer. Novella Giovanna d'Arco mortificata nel suo saio spaziale, Sigourney Weaver si porta il film sulle spalle, fino all'inevitabile rogo purificatore della storia che, come c'insegnano, ama ripetersi.

Non mancano le idee in questo Alien: ciò che manca è la regia. Nato tra svariati litigi che avevano inizialmente previsto il neozelandese di NAVIGATOR, Vincent Ward, dietro alla camera, il film è giudiziosamente - visto l'assunto - immerso nell'universo stinto, claustrofobico e punitivo degli infiniti cunicoli che sgocciolano sotto il penitenziario. Ma David Fincher è un esordiente che proviene dai clip, il suo mostro ormai lo conosciamo, e con lui le sue succhiate. L'azione progredisce a fatica; ed i personaggi sono appena abbozzati che subito appare il maledetto alieno dietro all'angolo.

Anche se se l'è cavata dal rogo (con queste sante indemoniate non si sa mai, sembra suggerire l'oscura inquadratura finale) forse a Ripley è il caso di lasciarle finalmente tirare il fiato."


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