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BUGSY
(BUGSY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 maggio 1992
 
di Barry Levinson, con Warren Beatty, Annette Bening, Harvey Keitel, Ben Kingsley, Joe Mantegna, Elliott Gould (Stati Uniti, 1992)
 
Chi, meglio del più celebre, anche se ultracinquantenne seduttore di Hollywood avrebbe potuto portare sullo schermo Benjamin "Bugsy" Siegel? I segreti della Mecca del cinema sono quasi sempre assai trasparenti: ma è il loro modo di essere svelati a renderli (talvolta) esaltanti.

Dopo Luciano, Corleone meglio noto come Padrino, Capone e altri ancora è finalmente il turno del più seducente ed altrettanto mitico fra loro: ennesima occasione per rivisitare quegli anni Trenta / Quaranta cosi carichi di cinematografiche fortune.

Ma "scarafaggio" Siegel era qualcosa di più di un celebre gangster: è l'inventore di una follia che gli sfugge fra le mani, ma che altri si ritroveranno con profitto da gestire, quella di Las Vegas. Eternamente abbronzato e magalomane al punto di volersi recare in Europa a liquidare Mussolini, minaccioso e terribile Narciso dai piedi d'argilla che passava le serate libere da impegni d'alcova a proiettarsi in casa i suoi provini d'attore fallito, Bugsy non solo non sopportava di essere chiamato a questo modo. Ma rifiutava l'idea che qualcosa fosse impossibile: una donna da conquistare fra mille, una città da far sorgere nel deserto.

Che le donne fossero talvolta fasulle, cosi come il genere d'evasione che avrebbe potuto alimentare la futura Vegas, o i suoi progetti sulla fabbrica hollywoodiana, poco importava: Bugsy, una volta ancora, è il grande sognatore americano. Magari spietato assassino: ma visionario indomabile, di quelli che Hollywood, e non solo Hollywood adora. Solo, come il TUCKER di Coppola, con la sua fede contro tutti: contro il sistema economico o sociale, i meschini dalle idee piccole, gli egoisti ed i pettegoli, o più semplicemente, come qui, i mafiosi.

Una volta ancora, tutto è messo in equazione per erigere il monumento al Sogno: un regista che ha costruito la sua carriera sulla parola, come l'autore di RAIN MAN e di GOOD MORNING VIETNAM ad illustrare il fascino del più logorreico dei malfattori celebri. Uno sceneggiatore - James Toback - specialista in miti e "vamp". Il decoratore - Dennis Gassner - di HAMMETT e del sublime MILLER'S CROSSING dei fratelli Coen. La musica di Morricone, ed una serie di straordinari attori. Certi conti tornano, a cominciare dai protagonisti Warren Beatty e legittima signora: autocompiaciuto come di dovere lui, volitiva e misteriosa "dark lady" alla Howard Hawks la sontuosa Annette Bening. E la direzione d'attori in genere, con degli esaltati, esaltanti Harvey Keitel, Ben Kingsley, Joe Mantegna ed Elliot Gould.

Certi altri meno, perché' Levinson non sarà mai un regista grande. Un illustratore, mai un autore. BUGSY corre via come un impeccabile prodotto: ma manca un chiodo fisso, un tema che ne allarghi i significati ai tempi nostri. O la graffiata spregiudicata, coraggiosa almeno quanto il suo protagonista, da parte di un visionario che metta in causa la propria le proprie immagini. Non sempre all'altezza delle invero eccentriche situazioni.


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