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BATMAN - IL RITORNO
(BATMAN RETURNS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 settembre 1992
 
di Tim Burton, con Michael Keaton, Danny de Vito, Michelle Pfeiffer, Christopher Walken (Stati Uniti, 1992)
 
"Sotto le vesti del potere, della forza, del gigantismo, il cinema di Tîm Burton rimane quello della fragilità.

Potere, di in cinema che è pur sempre quello delle grandi produzioni, degli effetti speciali e spettacolari, dei grossi investimenti promozionali. Forza, di una immaginazione visionaria che sa liberarsi del proprio soggetto (i fumetti disegnati alla fine degli anni Trenta da Bob Kane) per immergerlo in altri fantasmi: quelli dell'infanzia, delle fiabe, della psicologia, dei riferimenti contemporanei. E gigantismo. infine di una visione che non teme di lasciarsi andare (pure all'interno delle rigide costrizioni delle grandi produzioni) alla libertà d'ispirazione: con l' humour che permette di prender gioco di sé stessi, oltre che degli altri. Oppure con sapienza e cultura: immergendo il tutto in ambienti originali e significativi, carichi di riferimenti glissati in un batter d'occhio, che stravolgono l'iconografia dickensiana nel monumentalismo caro all'architettura fascista.

E fragilità. Perché la grazia, l'intelligenza e la poesia del cinema di Burton nascono dal contrasto fra tutta questa forza, questo strapotere dell'involucro con la debolezza, e quindi con l'umanità dei personaggi.

Si sa che una delle regole d'oro del cinema di tensione è quello di riuscire il Cattivo: Burton dev'essersi detto che tanto valeva crearne tre. Non c'è più il Joker della prima edizione (anche perché si mormora che Jack Nicholson avesse ecceduto nelle pretese), ma c'è il Christopher Walken di Max Schreck, il capitalista perverso ed inquinatore; Danny de Vito, l'uomo-pinguino che esce dalla fogne per tentare di farsi eleggere sindaco. E quello che è forse il personaggio più riuscito, perché più nuovo, contraddittorio, sottile: la Catwoman - segretaria creata dalla bravissima ed ovviamente sexyssima Michelle Pfeiffer.

In un film sul doppio, dove ogni verità, ogni certezza vale quanto il proprio contrario, anche i cattivi lo sono soltanto a metà: il Pinguino langue nel sottosuolo, da quando i genitori l'hanno abbandonato, scaraventando la culla nelle fogne, una volta constate le anomalie palmate del pargolo. Max Schreck è il cinismo in persona; ma non esita a sacrificarsi per il figlio. E l'ambigua Catwoman, oltre che frustrata sessualmente, vive quel rapporto di attrazione / repulsione con Batman (non è caso lei è una gatta, lui un pipistrello) che rappresenta uno dei motivi portanti del film.

Lo stesso vale per i "buoni": più ancora che in BATMAN 1, il celebre pipistrello è lungi dall'essere un superman infallibile: vola, ma attaccato ad un filo di ferro, picchia, ma incassa, si strappa a fatica (come non comprenderlo?) dai preliminari amorosi con Michelle, per esitare a lungo quale dei suoi tanti costumi indossare, identici e allineati di ritorno dalla lavanderia chimica.

Come, e forse più del primo BATMAN, questo di Burton non è allora soltanto un film estremamente virtuosistico: con favolose scenografie, deliranti impieghi del colore, felliniani costumi e via dicendo. Ma un'opera dai molti rinvii: che l'aspetto "grande produzione" non dovrebbero offuscare.

Una volta fuggito nel fantastico (partendo, come suole, da un'epoca trascorsa, per farci ritrovare in una sorta di trapassato-prossimo, di Rockefeller Centrum rivisitato dalle memorie nazi-fasciste) Tim Burton si permette infinite (quasi eccessive...) divagazioni. Con le maschere, ad esempio, che ricoprono i visi non tanto di coloro che vogliono nascondere (i killer dipinti da clown,) quanto di quelli che non possono permettersi di lasciar trasparire la loro fragilità, o purezza (Batman e Catwoman). A viso scoperto, invece, sono i veri perversi (Max Schreck, il Pinguino): poiché la loro ipocrisia li veste delle più disparate mistificazioni. Quando Batman, per dichiararsi a Catwoman, decide di strapparsi la celebre maschera, denuncia la propria ambivalenza, la propria impossibilità di adeguarsi al mondo. E la perde, con in più lei che lo sfotte: "non sperare nell'happy end...".

Assieme alle maschere, le mani: esse sono il prolungamento della personalità dei personaggi, il mezzo per trasmettere la loro fisicità ma anche l'impossibilità di comunicare. La malformazione diventa emarginazione: così il protagonista di EDWARD SCISSORHANDS, od Oswald il Pinguino, costretto a nascondere la proprie pinne in un guanto di cuoio.

Attraverso questi ed altri dettagli il cinema di Tim Burton s'iscrive in una grande tradizione del cinema americano: quella che permette all'autore di sfuggire agli imperativi dell'opera di "comanda". Fra le pieghe di questo divertimento di gran lusso, di questo incontro fra la favola ed il fumetto, si nasconde l'inquietudine di una società che si osserva (i riferimenti alle campagne elettorali), che riflette sul passato (l'estetica, la gestualità hitleriana) e che rimette in questione i propri miti (i riferimenti a CITIZIEN KANE ed all'universo registico di Orson Welles).

Favola per grandi più che per piccini, disperata oltre che divertita, ambigua e sfuggente oltre che virtuosistica, BATMAN 2 testimonia così della volontà del miglior cinema americano di trasformare le illusioni della favola e dell'evasione nella realtà della follia quotidiana."


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