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ARIZONA DREAM
(ARIZONA DREAM)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 febbraio 1993
 
di Emir Kusturica, con Johnny Depp, Faye Dunaway, Jerry Lewis, Lili Taylor, Vincent Gallo (Francia, 1992)
 
Come in un film di Flaherty, di Nicolas Ray o di... Kusturica: nell'immensa pianura ghiacciata dell'Alaska, una slitta trainata dai lupi, un esquimese che cattura uno strano pesce, il ghiaccio che incomincia a fondere, la slitta, i cani che stanno per essere sommersi dall'acqua gelida. La vescica di una renna gonfiata da un bambino, felice che il padre sia scampato alla tempesta: e che s'innalza nel cielo come un pallone rosso, volando verso il sud di altri lidi dell'immaginario americano, New York, l'Arizona...

È il prologo - affascinante, primordiale, delirante come lo sono i miti cinematografici quando si confondono con quelli dell'America - di ARIZONA DREAM: è il sogno di Axel, il protagonista (Johnny Depp) che ritroviamo nella baia di New York a marcare pesci come in un film di Scorsese sponsorizzato da Greenpeace: "Per conoscere qualcuno, conosci i suoi sogni".

A differenza di tanti registi europei che, una volta sbarcati nel Nuovo Mondo si mettono a far film all'americana, un po' come il Wenders di PARIS TEXAS al bambino prodigio jugoslavo (Leone d'oro a Venezia a 26 anni con TI RICORDI DI DOLLY BELL?; Palma d'Oro a Cannes tre dopo, con PAPA' È IN VIAGGIO D'AFFARI... ) riesce il colpo di magia. Quello di trapiantare nel paese del western, del melodramma, di Jerry Lewis e John Ford la propria furibonda energia, che pensavamo riservata agli zingari di casa sua; la propria inconfondibile generosità, che vedevamo stemperarsi nei balli e nelle musiche del precedente IL TEMPO DEI GITANI. Quel senso avido dell'immagine impossibile, della sfida al naturalismo imperante nel cinema contemporaneo: quell'arte del giocoliere capace di dare un senso, una continuità, una traiettoria ai personaggi, alle cose, agli avvenimenti più disparati ed eccentrici.

Di fronte all'immensità americana - dice Kusturica - ho avuto paura. Si è ritrovato - aggiungiamo noi - come un pesce fuor d'acqua. Ed ha reagito come doveva, da poeta: lui, che veniva da un mondo di sogni di gitani e d'immersioni negli elementi naturali alla Tarkovski, lui che esprimeva la gioia, la passione, l'assoluto dei propri personaggi facendoli letteralmente levitare, ha rappresentato il suo pesce mentre s'innalza fra le nuvole. Ed i suoi personaggi, mentre tentano d'innalzarsi dalla loro terra, mentre rincorrono quei loro sogni così rivelatori.

Così, se Axel insegue quella metafora meravigliosa che è il proprio pesce, Jerry Lewis, suo zio Leo dai blusotti con le borchie e gli stivaletti rosa, sogna e s'innalza in cielo in tutt' altro modo, assai più prosaico ed attinente al Sogno Americano: sovrapponendo tutte le Cadillac che è riuscito a vendere, fino a tentare di raggiungere la luna. Ed Elaine, la più bella e determinata Faye Dunaway dai tempi di CHINATOWN, s'innalza pure a modo suo: per fuggire, oltre l'angoscia delle rughe e di un passato che l'opprime, il suo ranch ormai orfano dei miti che sappiamo, tenta di volare sui dei marchingegni che Axel le ripara in continuazione. L'unico a non volare è Paul (straordinario - come tutti gli attori - Vincent Gallo), che non ne ha bisogno. Poiché il suo sogno è il cinema: e, per ricrearlo, non ha trovato di meglio che tentare di confondersi con esso. Cita a memoria (sovrapponendosi alle battute con perfetta, esilarante precisione) i dialoghi di TORO SCATENATO o del PADRINO. E si esibisce nell'imitazione dell'inimitabile, dell'utopia applicata ad una sequenza cinematografica: quella della scena di INTRIGO INTERNAZIONALE, quando Cary Grant è assalito dall'aeroplano con l'insetticida nel campo di granoturco.

Il sogno americano non esiste più (anche se - a voler interpretare il delizioso ritorno ai ghiacci che conclude il film - Axel ritornerà a tentare di vendere le Cadillac di suo zio Leo): ma Kusturica, invece che piangere, gli rende uno straordinario omaggio. Se Jerry Lewis non disdegna di recitare (ammirevolmente) la propria parte, il regista gli lascia a volte essere sé stesso: ed il film decolla una volta ancora per incantati lidi, che sono quelli di una irresistibile tradizione americana, dallo slapstick delle vecchie comiche alle commedie di Lubitsch, Mc Carey o Capra. Lungi dal perdersi in una sterile elencazione post-modernista (un po' quel che capitava al Coppola di DRACULA), Kusturica reinventa il mito, poiché ha l'impudenza di non rinunciare ai propri: così dalla commedia di Jerry Lewis si passa al western (la fattoria nel mezzo della pianura dell'Arizona), al giallo (Faye con il fucile, imbracciato proprio come in BONNIE AND CLYDE), al melodramma alla Douglas Sirk (i rapporti tra le due donne della fattoria, con la straordinaria, suicidaria Lili Taylor e le sue tartarughe che le impediscono di volare). Confrontato ad un' America messa di fronte alla propria realtà, ad un suo cinema ridotto ad una pura rappresentazione naturalistica ("tutto ciò che odio: è soltanto le televisione a farci credere che la realtà la si crea con il realismo...") ARIZONA DREAM si afferma così come uno straordinario esempio di generosità, di golosità, di libertà espressiva.

Pur nella sua coerenza, nella sua volontà di concludere il cerchio del discorso, il film ha le sue lunghezze, le sue ripetizioni: ma cosa importano se confrontati al senso di gioia esaltata, spensierata e provocatoria che sembrano pervadere ogni sua situazione? Quello fra il giovane slavo spregiudicato e gli eroi stanchi della nostra memoria cinematografico è un altro di quei grandi incontri fra le culture dei due mondi, che credevamo ormai relegati alle leggende dei Murnau, dei Lubitsch e dei Lang.


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