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BARTON FINK - È SUCCESSO A HOLLYWOOD
(BARTON FINK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 maggio 1991
 
di Joel e Ethan Coen, con John Turturro, John Goodman, Judy Davis, John Mahoney, Steve Buscemi (Stati Uniti, 1991)
 
"L'autore teatrale di genio e magari un po' svitato che si lascia tentare dalla sirena hollywoodiana (qualcuno riconosce in filigrana l'incontro di Clifford Odets con William Faulkner, sotto l'occhio tra il paranoico ed il megalomane del mitico produttore Jack Warner), il tema tradizionale dell'angoscia dello scrittore davanti alla pagina bianca o, ancora più semplicemente, l'affresco grottesco della Mecca dei Sogni?

Palma d'Oro all'ultimo festival di Cannes, in BARTON FINK ritroviamo tutti gli ingredienti che hanno proiettato i due giovani fratelli americani, autori indipendenti e completi (produttori, sceneggiatori e registi) ai vertici del gradimento critico e, poco a poco, anche pubblico: lo sberleffo alla spettatore che si aspetta il film di genere come in BLOOD SIMPLE, l'irriverenza inventiva ai limiti del nonsenso grafico di ARIZONA JUNIOR, la maestria della costruzione e del riferimento, l'arte della fuga in avanti verso il fantastico, verso il poetico di MILLER'S CROSSING .

Come nei film precedenti i Coen sembrano lasciarsi affondare nell'ambiente nel quale evolvono i loro personaggi abnormi: per riemergere come rigenerati sulle ali della libertà espressiva più spericolata ma coerente. C'è l'albergo affascinante ed angoscioso, i personaggi sorprendenti del Kubrick di SHINING ; i suoni amplificati, curiosi ed inquietanti, catturati prima ancora che si faccia avanti l'evidenza dell'immagine, come riusciva al Polansky di ROSEMARY'S BABY e di REPULSION; la tragicomica derisione, la deformazione fantastica che copia l'angoscia sulla follia dello Scorsese di TAXI DRIVER o di AFTER HOURS . Ma tutto ciò è come rimodellato in una dimensione di formidabile, sfrontata immaginazione che, di film in film si afferma sempre più appartenere soltanto a loro.

Sono dei film, quelli dei due fratelli, che uno vorrebbe rivedere immediatamente (e, credetemi, non succede di spesso...): tanti sono i dettagli, i rinvii di ogni ordine nascosti in ogni sequenza. Un modo di rivisitare il cinema di sempre, che è stato quello dell'ultima grande epoca degli americani, quello degli anni settanta - inizio ottanta degli Altman, Pollack, Penn o Rafelson. Ma che i Coen fanno alla maniera di una generazione che nel frattempo ha digerito più di una cosa, in una maniera che forse finiremo per chiamare postmoderna.

Esilarante commedia sociale fino a quando gli autori non decidono di cambiare rotta (la zanzara intrisa di sangue che Turturro schiaccia sulla pelle dell'amante) BARTON FINK devia allora in quel fantastico al quale è destinato da sempre: fra le pareti sgocciolanti della sua memorabile stanza d'albergo l'eroe dei Coen è una volta ancora l'Americano (oppure ognuno di noi?) indifeso, isolato (isolazionista?) nel quale si afferma progressivamente il terrore del vicino, del diverso, dell'altro. In ARIZONA, per gioco come nei cartoni animati, questi irrompeva bucando le pareti come fossero di carta. In MILLER'S CROSSING, più drammaticamente, attendeva celato nel buio dell'intimità domestica per sorprendere il padrone di casa proprio quando rientrava rassicurato. Qui la sua presenza, fatta di gemiti e di tappezzerie che si scollano, di protezioni illusorie che fondono sotto gli occhi nell'afa californiana, si fa vieppiù assurda, e quindi angosciosa. La geniale irriverenza dell'inventiva dei due Coen sembra allora abbandonare le rive pur esaltanti della straordinaria dimostrazione di stile: per mettersi all'ascolto delle preoccupazioni più urgenti del loro tempo.

Qui, infine, BARTON FINK si conferma essere il più strano, il più intelligente ed esaltante, il più bel film della stagione."


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