"Non è cosa facile illustrare la vita del grande poeta francese: di lui non esiste un'autobiografia, la sua corrispondenza è scarsa, i testimoni, i parenti sono scomparsi.
Il fascino del film di Richard Dindo nasce dal fatto che questa "impossibilità" è aggirata grazie al potere trascendente dell'arte registica, del linguaggio cinematografico: sono degli attori che testimoniano, degli ambienti che ricordano le lettere o i poemi di Rimbaud che ricostruiscono la memoria. Rimbaud non appare mai: ma il film è dominato dal suo sguardo, uno sguardo in bianco e nero, delle sequenze in video che rivisitano gli stessi paesaggi che abbiamo appena visto a colori. Ed è come se uno sguardo d'oltretomba tornasse a svelarci l'impossibile: perché, dopo il litigio con Verlaine, Rimbaud abbia abbandonato la letteratura, il proprio paese, la propria lingua.
Il procedimento di Dindo, pudico, ispirato e commosso (proprio come nel precedente MAX FRISCH) ha il pregio straordinario di tenerci costantemente con i piedi su terra, senza per questo abbandonare i misteri dello spirito e dell'arte. Non è mai l'astrazione un po' vana del Mito che inseguiamo. Ma l'uomo Rimbaud: con la sua indicibile sofferenza, la sua fuga impossibile, la sua rivolta e la sua generosità, la ricorrenza del suo eterno scacco esistenziale che rende ancora più sublime e commovente il genio dell'Artista. ARTHUR RIMBAUD è sicuramente l'opera più universale che il cinema svizzero ci abbia offerto negli ultimi anni."