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BALLA COI LUPI
(DANCES WITH WOLVES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 aprile 1991
 
di Kevin Costner, con Kevin Costner, Mary Mc Donnell, Graham Greene (Stati Uniti, 1990)
 
"Questo film è un miracolo. Anzi, il risultato di un doppio miracolo.

Miracolo di un attore celebre che, alla sua opera prima come regista, sceglie di girare un western, genere considerato ormai defunto a privo di qualsiasi richiamo commerciale, lungo di tre ore e parzialmente parlato nella lingua lakota dei Sioux, e quindi sottotitolato. Miracolo che da questa operazione ai limiti dell'incoscienza risulti non solo un sorprendente, esaltante capolavoro, ma uno straordinario successo popolare.

E secondo, forse più impensabile miracolo: quello che BALLA COI LUPI non sia semplicemente un western resuscitato. Il rifacimento cioè, magari anche glorioso, di uno dei generi che più ha contribuito a conferire un'identità all'arte cinematografica, il remake di un film di Ford, di Walsh, di Mann o anche dei più recenti Pollack o Penn. Ma che, situato com'è dopo altri western che ci hanno da allora coinvolto (come quelli del Vietnam, del Golfo, come tutti gli avvenimenti che da allora ci hanno confrontato con i terzi, gli altri, i diversi) riesca invece ad innovare: a dire delle cose che importano socialmente, politicamente, moralmente. Ed a dirle in un modo poetico.

Il protagonista di BALLA COI LUPI è infatti un eroe vero (come ce lo descrive la curiosa introduzione al film): ma un eroe che non è più un John Wayne. E nemmeno il Richard Widmark del più pro-indiano dei film di JohnFord, CHEYENNE AUTUMN (IL GRANDE SENTIERO); o il Dustin Hoffman ideologo di PICCOLO GRANDE UOMO, o ancora il Robert Redford del film che più si avvicina a questo di Costner, JEREMIAH JOHNSON. È l'eroe di un'epoca diversa: che, come quello del "Deserto dei tartari" ha deciso di visitare i confini estremi della terra e della civiltà, quella Nuova Frontiera che se non è più quella dei pionieri di Ford, egualmente ci attira ai limiti vertiginosi della conoscenza

Per intraprendere questo viaggio, certo altrettanto mentale che fisico, occorre far piazza pulita di tutto ciò che ha occupato la nostra memoria, a cominciare da quella cinematografica: ed ecco allora, ad accogliere Kevin Costner nella prateria sconfinata di BALLA COI LUPI, quel fortino semi distrutto, quei recinti che una volta contenevano del bestiame, quei vaghi resti di una miniera, tutte vestigia di un'epoca (e di un modo di far cinema) sepolti nella nostra cultura. È solo dopo aver preso possesso di quei territori (ed essersi liberato di tutta una iconografia del genere) che il protagonista può dare avvio alla propria iniziazione. Imparando una lingua: dapprima quella del lupo, che gironzola nell'immensità attorno al fortino. Poi, quella dei Sioux.

L'intelligenza, la bellezza del film viene da questa intuizione del ricominciare da zero: dal cammino della semplicità, della generosità, dell'umanità che è quello dell'apprendimento della cultura. Costner, con il coraggio dei suoi tempi tranquilli, nei quali mai interviene la fretta dello spettacolo, ci conduce alla conoscenza dell'Altro come in un documentario etnografico. Ma senza mai essere scolastico: l'incontro, la complicità, l'amicizia con il lupo (animale che solo l'ignoranza ha confinato - proprio come i pellerossa - fra i simboli della ferocia), l'arrivo misterioso - suggerito dai suoni e dalle vibrazioni più che dalle immagini - delle mandrie di bisonti, le scene straordinariamente realistiche della caccia fra gli animali scatenati che fanno da preludio all'amicizia con gli Indiani, il modo di sposare con lo sguardo della cinepresa le pieghe quasi astratte del territorio che avvicina e divide al tempo stesso gli individui, fino allo struggente paesaggio invernale che avvolge come in un abbraccio la dolorosa separazione finale, rappresentano altrettante occasioni di sconfinare nel metafisico. Da un lato la cronaca metodica e serena, scientifica e documentata, generosamente realistica degli avvenimenti. Dall'altro la poesia del fantastico, il potere infinito che soltanto l'eco della nostra fantasia riesce a suscitare nei nostri animi: è da questo incontro che nasce tutto l'incanto, ed al tempo stesso tutta la grande efficacia morale di BALLA COI LUPI.

Così, ad esempio, l'oscenità sconvolgente del massacro gratuito del Lupo diventa uno dei momenti più tragici del film: perché traduce immediatamente nella mente degli spettatori, con formidabile sinergia espressiva, l'altra oscenità, certo più importante storicamente e civilmente, del ritorno delle soldataglie bianche all'auspicato genocidio.

BALLA COI LUPI non è allora quel film sentimentale, oleografico, pacifista, ecologico che ne ha fatto (fortunatamente) un fenomeno alla moda. Ma il tentativo - prodigiosamente riuscito per essere condotto da un esordiente alla regia - di ricondurre gli elementi di sempre dell'avventura umana, con la sua esaltazione e la la sua miseria, alla loro espressione più semplice: la parola, la conoscenza, la comprensione, la sopraffazione, la sopravvivenza.

Ci voleva tutta la semplicità, la generosità, il calore di Kevin Costner per far ritrovare al cinema l'innocenza della propria infanzia."


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