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CROCEVIA DELLA MORTE
(MILLER'S CROSSING)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 maggio 1991
 
di Joel e Ethan Coen, con Gabriel Byrne, Marcia Gay Harden, Albert Finney, John Turturro (Stati Uniti, 1990)
 
"Fratelli- prodigio dell'ultimo cinema americano, Joel ed Ethan Coen hanno concepito (a loro modo, e cioè con un bel grado di pazzia iconoclasta) i loro primi film a somiglianza di quelli di due dei più significativi cineasti dell'ultimo ventennio, Stanley Kubrick e Robert Altman: BLOOD SIMPLE, ARIZONA JUNIOR e questo MILLER'S CROSSING sono infatti delle rivisitazioni di un genere cinematografico. La road-movie, il cartoon, il film di gangster ricreati non per un semplice piacere illustrativo o nostalgico, ma per essere giudicati dallo spettatore con distanza ed ironia critica, alla luce delle sue conoscenze attuali. Se MILLER'S CROSSING non è soltanto un film in questo senso moderno (qualcuno lo ha già definito giustamente di PADRINO post-moderno), se s'impone come il primo capolavoro dei due autori dopo il fracasso salutare del loro irriverente esordio, è perché la libertà con la quale essi si riferiscono al mondo di Dashiell Hammett ne fa un oggetto d'invenzione cinematografica straordinariamente puro nella sua autonomia.

MILLER'S CROSSING è la storia di una guerra fra bande rivali, manipolata e sofferta da un personaggio centrale che potrebbe essere quello dell'investigatore privato tradizionale. Ma i due Coen prendono in prestito da Hammett (oltre l'epoca, i soliti anni Trenta, i personaggi, l'ambiente corrotto) non tanto una storia che non esiste e che comunque conosciamo a memoria. Ma dei personaggi: degli archetipi di comportamento che si muovono in altri archetipi di situazione. È come se ci ritrovassimo immersi in una struttura affascinante e risaputa al tempo stesso: che, proprio per questo, fa assumere a MILLER'S CROSSING i contorni della tragedia greca.

Il cinema straordinariamente inventivo - ma "semplicemente" insolente di ARIZONA JUNIOR - irrompe cosi all'interno di una cornice quasi solenne: quella dei vecchi, gloriosi film gialli. La nostra volontà d'identificazione in un genere che appartiene alla nostra memoria affettiva è allora costantemente, brutalmente contraddetta dall'irrisione di un modo disincantato, diciamo moderno, di filmare quei riferimenti.

Dalla prima, straordinaria sequenza del film si seguono dei ritratti, dei personaggi, e mai delle storie che risultano più o meno comprensibile ma comunque scontate, che progressivamente ignoriamo allegramente nel nostro piacere di lasciarci sorprendere. Dei personaggi dei quali sentiamo parlare a lungo, prima di vedere comparire molto tempo dopo. Dei personaggi che sappiamo essere presenti in una certa situazione, ma che entrano a far parte dell'inquadratura solo al momento giusto della sequenza.

Seguendo un principio caro all'invenzione letteraria di Hammett, è la sorpresa ad imporre al racconto una sorta di fuga in avanti: i personaggi - ed il protagonista in particolare, con la masochistica contraddizione tipica del detective privato - agiscono sorprendentemente, e non logicamente. E poi stanno ad osservare (e noi spettatori con loro) ciò che succede: come con i cerchi concentrici nell'acqua di uno stagno più o meno tranquillo, una volta ritirato il braccio che ha scagliato il sasso.

Il film diventa cosi un seguito di situazioni privilegiate, introdotte dalla sorpresa sovente di un suono (il tintinnio del ghiaccio in un bicchiere di whisky, l'urlo spropositato di un obeso come in un cartone animato) piuttosto che di una sequenza sbalorditiva d'innovazione cronologica (gli occhi di un cane, che ci fanno scoprire un cadavere, ma solo dopo che un bambino gli ha rubato il parrucchino). Sequenze, momenti filmati con grazia sovrana (i marroni soffusi, nei quali risaltano, come staffilate, dei rossi, dei verdi; l'ipertrofia espressionistica delle mimiche, dei costumi, delle illuminazioni) che il ritmo dilata in tempi enigmatici, onirici.

Di tutte le immagini straordinarie, contradditorie, destabilizzanti del film, quella più ricorrente (un cappello trascinato dal vento, fra gli alberi di un bosco d'autunno) rappresenta la chiave di lettura del protagonista come del film. Nel sogno come nella realtà, il rifiuto di spiegare, la libertà di interpretare: grave e futile, ridicolo come qualcuno che cerca di afferrare il proprio cappello trascinato dal vento, fedele, manipolatore, ambiguo, masochista, comunque impossibile da decifrare, come il protagonista al termine del film.

In un film nel quale sono i sentimentali a massacrare, Tom Reagan è qualcuno che ha fede nel suo intelletto, piuttosto che nelle proprie emozioni. Non è un sentimentale, al contrario del proprio padrone, Leo; e proprio per questo finirà col perdere la propria donna. Ma per aver ascoltato una sola volta il proprio cuore (risparmiando l'amico che doveva uccidere) si ritroverà in un vortice non solo di guai, ma di contraddizioni. Proprio come il suo cappello,in preda ai capricci del vento.

Storia d'amicizia, di comportamenti e di etica (come dichiara fin dall'inizio uno dei tanti malfattori ...) MILLER'S CROSSING è un film da vedere una, due, tre volte tanto è carico di particolari, di sensazioni e di rinvii, tutti dei quali sarebbe impossibile riferire. È un film - come THE BIG SLEEP di Howard Hawks, o certi Godard - da vedere, appunto. Come tutti quelli che fanno fare un passo innanzi al cinema."


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