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BATMAN
(BATMAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 ottobre 1989
 
di Tim Burton, con Jack Nicholson, Michael Keaton, Kim Basinger, Jack Palance (Stati Uniti, 1989)
 
"Questi americani, quando toccano al cinema, sono veramente imprevedibili. Hanno appena finito di proporti uno stracco INDIANA JONES numero tre (in un genere, quello proposto da Steven Spielberg, che proprio perché basato sulla dinamica, sul principio della "spinta in avanti" drammaturgica, e quindi anche ideologica, non ammette debolezze di sorta; pena l'incitrullimento del tutto), hanno appena finito di farti dire che forse il trucchetto è ormai scoperto (dato che i prestidigitatori hanno ormai perso la sveltezza dei vent'anni), ed eccoti questo BATMAN.

Un film, cioè, che una volta superato il fastidio legittimo provocato dai prodotti pubblicizzati oltre il dovere, dimostra una volta ancora quello che il cinema americano ci ha insegnato da sempre: che un film può essere grosso (di produzione), senza per questo rinunciare ad essere grande.

Una volta ancora, nel sorprenderci, il cinema americano impiega una sua caratteristica di sempre: quella di svelare, sotto la forza e lo strapotere, la debolezza, e la sua descrizione. Dalla quale nasce il desiderio d'autoanalisi, di rivisitazione critica, e di sensibilità espressiva.

BATMAN non è infatti (o non è soltanto, bisognerebbe chiederlo ad uno specialista di fumetti) un'animazione più o meno ben fatta del celebre personaggio disegnato da Bob Kane nel l939: ma una completa reinvenzione, del tutto permeata degli umori più recenti della nostra società.

A cominciare - come in ogni esempio di cinema che si rispetti, che faccia nascere i suoi significati dalla relazione, dallo scontro dialettico fra i personaggi, e l'azione, con l'ambiente - dallo sfondo: la Gotham City di BATMAN non è infatti la sapiente, o semplicemente ricca ricostruzione della futuristica New York dei fumetti di Kane. Ma la visualizzazione della memoria estetica di uno spettatore americano di oggi.

In essa, in un'allegra, esaltante anarchia ritroviamo infatti l'architettura di Gaudi mescolata all'iperrealismo dei colori, quella dei grattacieli ricostruiti dopo l'incendio di Chicago ai rimandi del costruttivismo sovietico. E, ovviamente, ai riferimenti dell'estetica cinematografica: le scale all'interno del campanile di VERTIGO, la gotica inquietudine della villa di PSYCHO,, la folla di BLADE RUNNER, il gobbo di Notre Dame o il Fantasma dell'Opera, Metropolis ed i boschi incantati di Walt Disney .

In questa specie di macedonia di stili e memorie culturali, quasi ad accomunarli in relatività, il regista Tim Burton inserisce i suoi personaggi ed i loro significati tradizionali. Che sono, ovviamente, schizofrenici: come Zorro, Fantomas, Jekill o Dracula, anche Batman si nasconde di giorno sotto le sembianze di un timido e inibito uomo qualunque. Ed il suo antagonista, il terribile Joker impersonificazione del Male è un Nosferatu crudele, ma egualmente comico, e quindi fragile.

A partire dai due, (interpretati da un Michael Keaton splendidamente scelto, con i suoi occhialini ed una virilità ambiguamente sottintesa; e dal più iperbolico dei Jack Nicholson, che rimette in questione il celebre ghigno del CUCULO e di SHINING) tutto il film si costruisce sull'idea del doppio. E su quella che ogni verità vale quanto il suo contrario. Così, Batman è forte ed invincibile: ma poi ci accorgiamo che non vola per virtù soprannaturali, ma semplicemente appeso ad una specie di filo di ferro. Mentre è costretto a fare ginnastica ogni mattina per rinforzare i pettorali, e quasi le prende dal primo giovinastro incontrato per strada. Che la celebre Batcar rimane senza benzina, ed il mitico Batplane a reazione si può abbattere con una semplice doppietta.

Il mito ridiventa umano: e anche quando si scaglia contro il malefico Joker non possiamo non interrogarci sui confini, talvolta sottili, che separano il Bene dal Male. Sul come, al pari del tragicomico clown, l'Eroe non esiti un attimo a scaraventare dai tetti, o a deturpare con l'acido. Guidato, oltre tutto, da un senso della giustizia perlomeno personale: il sentimento di vendetta, per aver assistito, da piccolo, alla mortale aggressione dei proprio genitori, da parte di due malfattori.

Come certo cinema dei bei tempi (quelli di Altman, Pollack o Rafelson) quello di Burton fa un uso intelligente, oltre che brillante, della libertà espressiva: e sfocia in regolamento dei conti con tante certezze sulle quali si è costruita la società dello spettacolo, e la società tout court.

Leggerezza e pesantezza, dramma e comicità, apparenza e realtà, cantine oscure ed abbaglianti esterni: e all'alternanza estetica proposta dall'autore non sfugge nemmeno il personaggio di Vicky Vale, la donna del pipistrello volante. Contrapposta all'astrazione del fumetto, al disegno tra il freudiano ed il metafisico della faccenda, l'evidenza estremamente fisica di Kim Basinger, la sua pesante sensualità, esce perfettamente giustificata, lontana da ogni banale ragione decorativa.

A smontare il giocattolo di lusso, insomma, si finisce per diventare semplicemente umani."


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