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BANKOMATT
(BANKOMATT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 febbraio 1990
 
di Villi Hermann, con Bruno Ganz, Giovanni Guidelli, Omero Antonutti, Francesca Neri (Svizzera, 1989)
 

Il cinema di casa nostra (facciamo più fatica a rendercene conto, distratti come siamo da contingenze meramente private: del genere, toh, è l'amico Federico che fa compere al supermercato) è esattamente come quello dei nostri prossimi. La sua riuscita è legata ai fattori di sempre, semplici e complicati al tempo stesso.

Primo fra tutti, nel caso di Villi Hermann (e ne parlavamo l'ultima volta a proposito de L'INNOCENZA), nella facoltà d'inserire, di significare la vicenda in un ambiente. Poco importa se a prima vista, come qui, l'autore sembra scegliere la via di un maggior aggancio alle regole dello spettacolo (BANKOMATT si vuole un film a suspense, seguendo le tracce di una rapina) rispetto a certe sue opere più dichiaratamente "sociali" o "politiche" del passato: la corrente sembra passare quando le preoccupazioni (quelle vere, quelle morali) dell'autore riescono ad esprimersi nei confronti dello sfondo.

BANKOMATT è un film ben costruito sulla sua sceneggiatura, ben montato, ben dialogato, e decisamente migliorato (in quella che era sempre stata una lacuna dell'opera di finzione dell'autore) nella direzione d'attori: ma riesce ad esprimersi - dialetticamente, poeticamente - soprattutto in quei momenti privilegiati.

Vedete all'inizio: quando la presentazione del giovane protagonista (quasi un pasoliniano ragazzo di vita, a cavallo di confini non soltanto geografici come quelli che ci costringono) è saggiamente iscritta in uno spazio ben delimitato, nel quale le angustie psicologiche dei personaggi si materializzano fino ad apparire tangibili. La storia che è quella di sempre, del ragazzo in definitiva poco malvagio ma attorniato dai soliti sbirolati, finché ci scappa il morto: ma così, costretta da recinzioni che basta allungare una mano per sfiorarle, per farsi mordere le chiappe dai doganieri che ti slegano addosso i cani lupo, assume motivazioni autentiche ed originali.

Perché non torni coi tuoi al di là delle rete, lo incalzano gli sbirolati. E lui a spiegare che è da questa parte che si è fatto le ossa (veramente, lo dice in altro modo): e che da qui, se fai un buco fino agli antipodi, arrivi da qualche parte tra le isole di Bounty a la Nuova Zelanda. In un paese che comunque comincia con "nuovo".

È quando esprime quasi fisicamente questo sentimento d'attrazione ed insofferenza per una dimensione al tempo stesso confortevole ed esasperante com'è la nostra, che BANKOMATT coglie nel segno. Allora la vicenda un po' stiracchiata (Bruno Ganz, perito dopo aver ferito di spada, nei panni di un ex-banchiere vittima di un cosiddetto gnomo, è professionale e predicatorio) prende il largo verso lidi più significativi.

Il film è costellato d'annotazione, forse colte al volo, che potrebbero incitarlo a questa navigazione: le serre traslucide del piano d'Agno, nelle quali il giovane si rifugia, che appaiono quasi, avvolte come sono nel cellofan e nella luce del tramonto, come quelle isole felici sulle quali fantasticano i due giovani. O, ancora, il sommozzatore che trasale improvviso, affiorando dal lago, mentre la polizia è alla ricerca degli scomparsi. O gli oggetti della serra, sapientemente isolati dal loro contesto quotidiano, che appaiono come elementi stranianti di una realtà che si fa sempre più alienante.

Poi, è come se l'autore fosse sorpreso del proprio coraggio. E da quel meraviglioso (e tanto più doloroso) nel quale il racconto avrebbe potuto esser spedito si ricade nell'aneddoto. Che è quel che è: soltanto un aneddoto.


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