LES HEROS SONT FATIGUES, diceva il titolo di quel film con Yves Montand. E per un film di Spielberg la fatica è un grosso guaio. Perché, più di ogni altro, il suo cinema è debitore di un'energia, quasi fisica, che non deve venire mai meno.I suoi eroi (ci sono anche in ALWAYS, e sono i cosiddetti pompieri del cielo, quegli Indiana Jones che con gli insostituibili anche se ormai pachidermci Canadair d'epoca rovesciano tonnellate d'acqua sugli incendi di foreste) si nutrono di quell'energia: dalla dinamica degli avvenimenti, dalla spinta in avanti che muove costruzioni meccaniche, extraterrestri, animali o esseri umani essi traggono la forza per accedere ad una dimensione eroica. A quel sogno, che non è altro che quello eterno nelle nuove frontiere. Da uomini qualsiasi, proprio come quelli dei film del più americano di tutti, John Ford, essi accedono così al mondo del meraviglioso, quello che tutto permette, di volare come in E.T., di trasformare autocarri in minacce metafisiche come in DUEL o squali in paure astratte ed ancestrali.
Si comprende quindi cosa abbia indotto Spielberg a riprendere il soggetto di A GUY NAMED JOE, girato nel 1943 da Victor Fleming: in nome della nostalgia per il mondo dei Spencer Tracy e delle Irene Dunne, dei grandi spazi da sempre privilegiati, del fascino delle meccaniche aeronautiche, dei sentimenti semplici
e duraturi che animano le persone più normali , tentare una volta quegli incontri ravvicinati tra l'avventura ed il mito. Ma è possibile girare ancora, all'inizio degli anni novanta , quella storia che aveva fatto piangere i nostri genitori nel bel mezzo della seconda guerra mondiale? Raccontarci, a colpi d'angelici carillon e scorci rossastri di nubi cotonate, la storia del migliore di tutti Richard Dreyfuss che, con l'aiuto del proprio angelo custode Audrey Hepburn ritorna sulla terra per aiutare l'inconsolabile vedova ad amare il rivale di allora?
Forse si. Ma condizione di credere ancora nell'impossibile operazione di stravolgere il kitsch, grazie alla folgorante inventiva all'interno di ogni sequenza, come succedeva nell'ultimo film ispirato di Spielberg, L'IMPERO DEL SOLE. Qui, il virtuosismo è di maniera, gli attori abbandonati a loro stessi (prima fra tutti la lacrimosamente volitiva Holly Hunter), il sentimentalismo trionfante. Angelismo per angelismo, quello di E.T. era di tutt'altra credibilità: il che è tutto dire.