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CHI HA INCASTRATO ROGER RABBIT
(WHO FRAMED ROGER RABBIT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 dicembre 1988
 
di Robert Zemeckis, con Bob Hoskins (Stati Uniti, 1988)
 
Da che cinema è cinema, da quando Méliès ci portava sulla luna e King-Kong innamorato fuggiva nella giungla con la bionda, ci hanno trascinati davanti al grande schermo per meravigliarci.

Oggi esistono altre fonti di stupore: a cominciare da quei mezzi d'informazione che ci guastano un po' la festa. Sarebbe infatti curioso verificare a che tipo di reazione andremmo incontro se ci fosse dato di entrare a caso ad una proiezione come quella di ROGER RABBIT, senza saperne niente. Ma impossibile: poiché da mesi siamo stati informati di cosa si tratti, dell'incontro - organizzato con la stupefacente tecnologia e con i mezzi a disposizione della squadra Spielberg, Lucas e compagni - fra i personaggi più celebri dei cartoni animati e degli attori in carne in ossa.

La sorpresa funziona egualmente: malgrado il fatto che non si tratti di una prima assoluta (Gene Kelly ballava già con Tom e Jerry nel l956 in INVITATION TO THE DANCE, i pinguini di MARY POPPINS si univano agli attori nel l964, Walt Disney stesso aveva tentato l'esperimento a partire da I TRE CABALLEROS, addirittura negli anni venti Dave e Max Fleischer, seppur maldestramente, in una serie intitolata OUT OF THE INKWELL; e recentemente Joe Dante, nell'interessante GREMLINS, aveva fatto invadere una cittadina di provincia americana da una banda di tragicomici mostriciattoli animati) mai prima d'ora la fusione era avvenuta con altrettanta, stupefacente perfezione.

Ma non si tratta soltanto di aver messo a disposizione degli autori la più sofisticata tecnologia elettronica ed informatica (quella che permette, in due parole, di rendere il tutto in tre dimensioni: di "gonfiare" i disegni altrimenti piatti in modo che entrino nel mondo degli umani, di coordinare i gesti e soprattutto gli sguardi di attori che devono recitare con personaggi che saranno aggiunti in un secondo tempo...), ma di andar oltre la trovata tecnologica, l'effetto che dura l'istante di una sequenza. La "storia" di ROGER RABBITT permette in effetti a Zemickis e compagni di esplorare l'ignoto.

È una vicenda piuttosto sempliciotta, che si dice ispirata al grande cinema degli anni quaranta perché il protagonista (al solito, un bravissimo Bob Hoskins) è un investigatore privato alla Sam Spade che si serve come attaccapanni di una replica perfetta del falco maltese caro a John Huston. E che delizia gli appassionati mescolando per la prima volta gli esclusivi personaggi di Walt Disney con quelli più celebri della tradizione del cinema d'animazione della Warner, della Metro, di Hanna e Barbera e via dicendo.

Ma che, soprattutto serve a Zemeckis e compagni per porre due mondi a confronto: se all'inizio ci fu Hollywood (come in ogni monumento filmico che si rispetti...), se poi ci furono due mondi ben distinti, quello dei divi in carne ed ossa e quello dei Toons, gli eroi di cartapesta, se i due mondi riuscirono a convivere a lungo in pace (coi gli uni - indovinate quali - che sfruttavano gli altri, ma questo è un altro discorso), infine successe il pasticcio. Quando Jessica, vamp conturbante nonché moglie di Roger Rabbit, spezzò l'equilibrio andandosene a flirtare in un locale notturno per uomini in carne ed ossa.

ROGER RABBIT si costruisce allora su due traiettorie incrociate: i personaggi dei "cartoon" invadono il nostro mondo e sono costretti a seguirne le regole. Ed in seguito sono i personaggi in carne ed ossa a passare dall'altra parte: ed a dover fare i conti con la logica (dinamica, spaziale, ma anche morale) dei disegni animati. Bob Hoskins si serve di proiettili animati, che decidono di svoltare all'angolo quando inseguono il bersaglio; ed i "cattivi" Toons scoppiano a ridere in pieno dramma, poiché la risata è la loro vocazione e la ragione della loro vulnerabilità.

Questa reciproca invasione di due mondi estetici, di due mitologie della nostra memoria fantastica, di due terreni da combattimento per i regolamenti di conto che ci portiamo appresso poteva dar luogo ad un capolavoro incantato. Se, al contrario, approda ad un fenomeno di sorpresa tecnologica, di divertimento fugace che si stempera quando gli effetti speciali lasciano il posto a delle psicologie piuttosto sommarie, è probabilmente perché il cinema ha appreso ormai tutto dalla tecnica e dalla programmazione socio-economica. Ma ha dimenticato l'umiltà: quella dell'invenzione, quella che portava i personaggi di Woody Allen a ben altre riflessioni, mentre abbandonavano lo schermo di LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO per affrontare una vita diversa.

Fondendo perfettamente il reale con l'irreale, la sostanza con l'immaterialità, riconsiderando le leggi che portano il creatore alla creatura, e quindi al sogno, gli autori di ROGER RABBIT hanno spinto il cinema ai suoi estremi espressivi: ma mai come in questo momento di osmosi appare evidente il distacco tra l'artista e la sua opera.Che sempre di più sembra sfuggirgli, per appartenere a programmatori sempre più grandi di lui.


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