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BIRD
(BIRD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 febbraio 1989
 
di Clint Eastwood, con Forest Whitaker, Diane Venora (Stati Uniti, 1988)
 
"Chi era Charlie Parker? Prima di essere l' innovatore per eccellenza del jazz (forse il più grande, per aver creato il be-bop, la svolta verso la modernità, un po' come Cézanne nella pittura), uno dei musicisti più rappresentativi della nostra epoca (il carattere anticipatore, e la testimonianza di un momento storico-sociale della sua opera), uno dei destini creativi più tipici del suo tempo (la fragilità dell'uomo nei confronti del cinismo ambientale). Prima di essere uno di quei miti che ogni giorno crescono accanto a noi ("ti lasci distruggere, e si serviranno di te", gli dice Dizzy Gillespie in una delle scene più toccanti del film), Bird era un uomo con la sua musica. Il merito di Eastwood - che non è solo un celebre attore, ma anche un grande regista, qui alla sua prova più impegnativa - è di aver costruito con purezza esemplare su questi due elementi, l'individuo e la sua opera.

Il film non è quel monumento alla gloria che l'America (la stessa che allora ignorava la sua musica) aspettava da tempo; non è un'agiografia, e nemmeno una biografia. Non è una cronaca di costume con relazioni di causa ed effetto, del genere mi drogo perché non mi capiscono, bevo poiché negro, muoio poiché bevo. BIRD, com'è giusto, è innanzitutto la musica di Parker: quell'istante improvvisato - così difficile da carpire, da fermare per sempre - tipico del jazz. Grazie ai miracoli della tecnica, gli assoli di Parker sono stati estratti dalle registrazioni originali, ed immessi nella musica suonata nel film. I musicisti filmati da Eastwood suonano oggi con Parker, improvvisano attorno ai suoi assoli, sulle sue composizioni. È la prima ragione del fascino, dell'emozione suscitata dal film: l'improvvisazione collettiva - la jam session - avviene davanti i nostri occhi, ma con la partecipazione al momento di creazione musicale di qualcuno scomparso da anni.

Da una parte la musica, dall'altra l'uomo: per esprimere l'inesprimibile, per dare un corpo a questa riscoperta, per trovare un'equivalente formale alla straordinaria libertà del canto parkeriano, Eastwood ha scelto una sua libertà espressiva, quella del rifiuto del racconto.

Così, come la musica di Parker insegnava allora ai musicisti stupefatti di allora come rifiutare la convenzione tematica, come inventare ogni volta attorno allo schema melodico, il cinema di Eastwood improvvisa oggi sulla cronologia della "storia". Dalle immagini dell'infanzia a Kansas City a quelle della morte nell'appartamento nuovaiorchese della baronessa Nica, da quelle della scomparsa della figlia e del susseguente tentativo di suicidio, ai fiori dei palcoscenici europei, il tempo è come annullato.

Nell'eco della musica eternamente riproposta (per la prima volta, in una biografia cinematografica, il jazz non è semplicemente un ingrediente d'atmosfera, da sfumare appena iniziano i dialoghi; ma è il perno sul quale s'articola la costruzione espressiva), ad ogni nuova sequenza, il flusso e riflusso temporale conduce lo spettatore in un punto qualsiasi di una vita incessantemente scandita dal medesimo ritmo. Quello, affannoso, di qualcuno che sa di avere poco tempo per esprimere tutto ciò che ha da dire. In questa ricorrenza atemporale si significa con grande emozione l'esperienza parkeriana, il suo processo d'autodistruzione come la sua continua rinascita creativa, quasi pionieristica, nel segno della tradizione nazionale (non a caso Eastwood firma i due momenti più originali dell'espressione americana, il western ed il jazz).

Film della notte, dell'oscurità che il sole non riesce quasi mai a svelare, BIRD si compone d'inquadrature di una semplicità istintiva, nella quale i personaggi sembrano trovare la propria collocazione naturale. È la luce - violenta, spesso a controcampo - che provoca il dramma, che evidenzia l'emozione, che fa progredire la psicologia dei personaggi.

Charlie Parker ha lasciato - per chi vuol ascoltarla - la sua musica. Ma non ha svelato il segreto che si portava dentro di sé, la ragione della propria disperazione. Nella sua splendida purezza, nella semplicità come nel suo coraggio espressivo, il film di Eastwood ci tocca profondamente poiché non pretende di sondare l'insondabile, di trasformare - in nome dello spettacolo - l'irrazionale in spiegazione al popolo.

Poiché, dell'esperienza parkeriana, conserva il medesimo, commovente pudore."


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