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FRANTIC Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 ottobre 1988
 
di Roman Polanski, con Harrison Ford, Emmanuelle Seigner (Stati Uniti, 1988)
 
FRANTIC (che vuol dire agitato, fremente, cosi come Walker - il nome del protagonista - significa camminatore; tanto per farci subito comprendere che quello dell'ultimo film di Polanski è la rappresentazione di un itinerario dinamico) non è che un thriller.

Quante volte, in passato, si è detto dei film di Hitchcock che non erano che dei suspense divertiti, per non aver ancora imparato a non cadere nel tranello? L'universo di FRANTIC si riferisce costantemente (senza per questo, diciamolo subito, esserne una scimmiottatura; come succede talvolta con registi come de Palma) a quello finalmente celebre dell'autore di INTRIGO INTERNAZIONALE. Tutta la parte iniziale del film, il tragitto della coppia americana a Parigi sul taxi che giunge dall'aeroporto, l'arrivo al grand hotel, la doccia coi suoi vapori sensuali, la scomparsa della moglie che ci priva dell'incontro fra i due, si costruisce secondo i canoni di quella straordinaria padronanza dello spazio cinematografico di cui Hitch era maestro.

Ricostruito per lo più in studio, esso si piega davanti ai nostri occhi di spettatori come la tela vergine di un pittore, destinata ad accogliere il racconto: le geometrie si tracciano con semplicità e decisione, le tinte sono monocrome, di un grigio luminoso e trasparente, i personaggi iniziano ad inserirsi nell'ambiente come dei dati di fatto su una scacchiera.

Le inquadrature rivelano progressivamente la doppia natura del cinema di Polanski. Quella del cineasta moderno, nutrito in cineteca, sensibile ai riferimenti culturali del proprio mestiere: ecco apparire allora la profondità di campo tipicamente hitchcockiana, il soggetto ripreso nitidamente in primo piano (mentre telefona, fa la doccia, o semplicemente volge uno sguardo) e sullo sfondo, altrettanto a fuoco, l'oggetto (persona, avvenimento) della sua attenzione. Cosi che l'azione, la storia possa progredire con efficacia; sul filo di una grammatica che spiega, impeccabile come poche altre, cosa stia succedendo. Nascondendo il meno possibile allo spettatore, dandogli l'impressione di giocare a carte scoperte.

Al tempo stesso, come flash rivelatori, ecco i tagli insoliti dell'immagine: dal basso all'alto, di sbieco, su elementi stranianti, apparentemente superflui, comunque inquietanti. Ed il grottesco, l'humour fuori posto, la testata nello stipite della porta quando proprio ci sembra non sia il caso. È l'altro aspetto del regista polacco, la sua tendenza verso l'ambiguo, il fantastico, il deviante. Ed il claustrofobico, o il ludico, o l'erotico.

Certo, come è stato notato, FRANTIC è molto meno demoniaco e perverso di REPULSION o ROSEMARY'S BABY: ma è proprio perché il film vuol evitare ad ogni costo di esserlo. Liscio, levigato ed affascinante come una perfetta macchina di cinema, (e come la contribuzione, al solito ammirevolmente osmotica della sceneggiatura di Gérard Brach) FRANTIC gioca tutto su questa volontà di non intervento. Tra il medico imbranato alla Cary Grant (un Harrison Ford perfetto) e la vertiginosa minigonna di Emmanuelle Seigner ci si attende l'inevitabile scontro. Al contrario: l'ambiguità, lo sconcerto della situazione sono amplificati dal fatto che i personaggi entrano nel letto degli altri senza che capiti nulla. E che durante l'unico momento di seduzione esplicita tra i due (o non sarà piuttosto di monomania - altra caratteristica polanskiana - incosciente?) del ballo in discoteca, a lui scoppi una volta ancora quella che è la costante (mirabilmente rappresentata) del personaggio: lo sfinimento da fuso orario.

Come in un film di Fritz Lang, FRANTIC s'incolla al suo protagonista. Con lui (ma non prima di lui, come succederebbe in un film d'Hitchcock), quasi con il suo frenetico ma disincantato coinvolgimento, noi spettatori affrontiamo un universo di sensazioni essenzialmente fisiche: le tappezzerie ed i suoni rassicuranti di un grand'albergo sui boulevard, i muri bagnati di una Parigi senza sole, il rosso dell'abito di due donne diverse ed eguali, i proiettori irreali dei bateau-mouche sulla Senna. Fino ad un finale improvviso, folgorante, di morte vestita di rosso sotto i ponti immersi di grigio: un'alba tragica di un film visto sicuramente per gioco.


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