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GIARDINI DI PIETRA
(GARDENS OF STONE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 dicembre 1987
 
di Francis Ford Coppola, con James Caan, Anjelica Huston, Dean Stockwell (Stati Uniti, 1987)
 

"Molti dei film di Coppola sono grandi: sono visionari, come APOCALYPSE NOW, IL PADRINO o COTTON CLUB. Ed allora, péché mignon d'artiste, l'autore aggiunge un Ford, fra il nome ed il cognome... Qui, poiché non compare l'aggiunta, siamo dunque fra le opere che Coppola considera modeste. Il che non significa necessariamente inferiori, in un regista che ha sempre fatto della sorpresa, dell'imprevedibile, una delle maggiori ragioni di bellezza dei suoi film.

GIARDINI DI PIETRA è un film sul Vietnam. Anche se il Vietnam non compare se non come sfondo sui teleschermi americani di quegli anni sessanta; e tutto si svolge in un campo d'addestramento presso il celebre cimitero di Arlington, dove le reclute sono occupate ad imparare il mestiere del marine. E, ancor più, ad imbucare fra i benemeriti della Patria colleghi ed amici che rientrano anticipatamente dalla Guerra lontana. Un film, quindi, che completa l'ormai emblematico trittico sulla Ferita riaperta: con PLATOON di Oliver Stone (la guerra come se ci foste) e FULL METAL JACKET (la guerra come l'avete dentro di voi).

Che Coppola avesse il diritto di ridire la sua sembra cosa assodata: APOCALYPSE NOW rimane una delle riflessioni più straordinarie che il cinema abbia dedicato alla guerra. Ma che GIARDINI DI PIETRA s'iscriva perfettamente nell'opera del regista è altrettanto evidente: non solo per il soggetto, ma per il modo d'interpretarlo. Che è poi ciò che a noi interessa. Poiché, cos'era APOCALYPSE e cos'è GARDENS? Una meditazione sullo Spettacolo, e sulla sua degenerazione. E, poiché nessun Paese è altrettanto naturalmente connotabile dietro al proprio spettacolo dell'America, ecco che la perversione di questo Spettacolo diventa tentativo d'analisi di un'altra perversione, quella della cultura americana.

Sulle similitudini fra i due film si potrebbe continuare a lungo: come in APOCALYPSE, anche in GARDENS è la degenerazione del quotidiano, del nostro modo di vivere supposto normale, del nostro concetto di vivere in pace ad innescare il processo che conduce alla follia dell'irrazionale guerriero. Non è la guerra ad essere uno stato anormale, diceva Coppola in APOCALYPSE: è il modo come noi viviamo di solito (ricordate le conigliette di Playboy nella giungla, prima e dopo il napalm?) che conduce alla crisi morale

In GARDENS Coppola ci mostra questo quotidiano, in tempo di (relativa) pace: l'interminabile, infinitamente ripetuto rituale degli onori mortuari, tributati ai caduti. E la follia, quella della bandiera stellata consegnata alla vedova, delle medaglie e via dicendo, è la stessa, forse maggiore poiché più meditata, di quella nella giungla. C'è una sola differenza, fra quella del tempo di guerra (in APOCALYPSE) e del luogo di pace (in GARDENS): che nel primo, paradossalmente, si applica ai vivi (magari provvisori, ma pur sempre vivi). Mentre nel secondo si dedica ai morti. È questa parte, di GIARDINI DI PIETRA, a ricordarci che Coppola è uno dei maggiori registi contemporanei: l' ossessionante, maniacale ripetitività del rituale di sepoltura, filmato con memorabile lucidità (espressiva, quindi anche morale) s'imprime per sempre nella memoria degli spettatori.

Il cinema è pur fatto d'immagini. Ed il nostro ricordo, ad anni di distanza, abbuffati come siamo di quiz e videoclip, è quello fugace ma talora indelebile di un istante. La giubba di John Wayne, il rosso di SUSSURRI E GRIDA o l'odore di un canale veneziano è tutto (ma quanto...) ci rimane dei discorsi di Ford, Bergman o Visconti. Così, l'assurdità dei valori fasulli, la vanità del potere, la crudeltà della logica che conduce alla violenza, la trivialità del fasto celebrativo si esprimono con logica e forza nelle immagini di GARDENS.

Ma un film, ahimè, è fatto di apporti molteplici, d'equilibri delicati fra un collettivo d'intenti e d'interventi: E Coppola (si pensi a ONE FROM THE HEART o a RUMBLE FISH) è sempre stato un mago dell'espressione. Non sempre (perché allora nascevano i suoi capolavori) un padrone perfetto delle sceneggiature. Qui non cade, com'è successo talvolta in passato, nel brillante esercizio di stile. Poiché evocare il fantasma del Vietnam non è come divertirsi a ricreare gli anni cinquanta, o sperimentare gli effetti dell'elettronica. Ma sembra chiaro che le parole, gli aneddoti, le psicologie del film sono ben lungi dal possedere il rigore del discorso espressivo. A seguire ciò che capita, o si dice nel film, si può anche capir poco e (ciò che è più grave) male.

Basterebbe stare solo a guardare: cosa, l'esperienza c'insegna, meno facile di ciò che sembra."


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