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CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 maggio 1987
 
di Francesco Rosi, con Gian Maria Volonté, Ornella Muti, Rupert Everett, Irene Papas, Lucia Bosé, Anthony Delon (Italia, 1987)
 
"Il giorno in cui sarebbe stato ucciso, Santiago Nasar si era alzato alle cinque e mezzo del mattino". Sono le prime parole del celebre romanzo di Gabriel Garcia Marquez, l'inizio della cronaca di una morte annunciata, di un delitto d'onore compiuto con la complicità di un intero villaggio. Complice non solo di lasciarsi assassinare un giovane di vent'anni sotto gli occhi, ma soprattutto di non volersi assumere la responsabilità di sapere se un uomo è colpevole o innocente. Il film di Francesco Rosi inizia invece con le immagini di un battello, che risale lentamente la corrente di un fiume colombiano: e con la figura, e la voce di Gian Maria Volonté. L'emozione di questi primi momenti proviene dall'incontro fra il regista e l'attore un incontro che non si ripeteva dai tempi di CRISTO SI E' FERMATO A EBOLI. E che ha tutto il fascino e l'intensità di un discorso mai interrotto. Di una riflessione morale che viene a sovrapporsi alla cronaca.

Il cinema dell'autore di Salvatore Giuliano è sempre eguale e sempre più diverso. Eguale, perché continua a partire dalla storia, dalla realtà sociale, dalla cronaca appunto. Un cinema, come diceva Rosi stesso, "vicino al documento, ma lontanissimo dal documentario". E diverso, proprio per quel suo continuo allontanamento dalla realtà, quella di Giuliano, quella dell' AFFARE MATTEI: per sfociare nella constatazione commossa di una situazione immutabile (quella di EBOLI), in un lirismo generoso, quasi melodrammatico che segna i momenti migliori di TRE FRATELLI, della CARMEN ed ora di questa cronaca colombiana.

Rosi non è andato a caso nella più spagnola delle terre sudamericane. Perché napoletano, e quindi intriso di umori iberici; perché meridionale, e quindi preparato a ritrovare laggiù certe condizioni sociali, religiose psicologiche che l'Italia del dopo - terrorismo (e del dopo - TRE FRATELLI) sembra aver apparentemente superato. E perché incontrando il grande testo di Marquez, ritrova quell'inchiesta su un cadavere, e più ancora quel]a storia di morte e d'amore che ha sempre governato il suo cinema. E un'inchiesta particolare, poiché tutto è già svelato fin dall'inizio. E non a caso: in CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA i veri colpevoli non sono tanto i due giovani fratelli, autori materiali del delitto. Questi proclamano ai quattro venti la loro intenzione di uccidere, quasi desiderosi che qualcuno si faccia avanti a disarmarli. E il film si apre allora ad una visione corale: quella di una responsabilità collettiva, di una cultura, di un potere civile e religioso, di una mentalità classista ed affarista che concorre all'esecuzione di un rito secolare ed immutabile.

Ecco allora - in una cronaca nella quale i colpevoli vengono interrogati ancor prima di aver commesso il delitto; o la tomba della giovane vittima visitata prima ancora di aver assistito al dramma - il ruolo assunto dal tempo. Gran parte del cinema di Rosi si è costruito sulla memoria: ma qui, alle prese con il testo più "letterario" di Marquez, quasi privo di dialoghi e magistralmente strutturato su continui ritorni nel tempo, la sceneggiatura di Tonino Guerra e di Rosi si svolge con una logica ed un'armonia che riesce ad evitare ogni insidia del "flash-back". La cronologia degli avvenimenti è sconvolta fin dall'inizio, poiché gli effetti sono noti prima delle cause. Ma, anche perché il cinema di Rosi si è sempre occupato più delle cause che degli effetti. I tempi del film sono mirabilmente scanditi: il delitto - importante perché testimonianza di una condizione eterna - viene continuamente rimandato, riproposto nella sua descrizione. Proprio come in quella morte annunciata dal titolo: descrizione di morte nelle coscienze, prima ancora di esecuzione nella pubblica píazza.

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA è un film sul tempo, lentamente ricucito. Sulle fotografie che ingialliscono, i fiori, le foglie, la natura gravida dei tropici che appassisce anzitempo. Un film sull'immutabilità delle cose, ed al tempo stesso sulla loro relatività, sulla loro fragilità nei confronti dell'amore. E un film sui giovani, costretti ad amarsi ed a uccidersi fra di loro, confrontati ad una natura crepuscolare e corrotta (il ballo di nozze, il palco nel giardino decadente), ad una cultura in putrescenza (la biblioteca inondata), ad una società impigrita nel potere (il sindaco, il prete, il vescovo). E una requisitoria sensuale, che s'attarda (come sempre più succede nel cinema di Rosi) ad osservare la natura, l'ambiente. Che ha perso, pensando a LE MANI SULLA CITTA' o a LUCKY LUCIANO l'aggressività e la foga polemica del pamphlet, la precisione implacabile del dossier. Ma che ha acquistato, con la consapevolezza (qualcuno dirà la rassegnazione) della maturità, con commovente partecipazione, una constatazione accorata nei confronti di quegli stessi, immutati misfatti.

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA non è un film perfetto: soffre dei difetti cronici delle produzioni internazionali, con qualche attore doppiato alla meno peggio (ma anche con altri, come Anthony Delon e la sua arroganza giovanile sorprendentemente riusciti). Ma è un film che, anche nei suoi difetti è pregno di un fascino inimitabile: quello di un cinema che sta ormai scomparendo. Di uno sguardo registico (e di una magnificenza produttiva) ancora capace di attardarsi sulle cose, sugli oggetti di una stanza, il panorama da una finestra, l'acconciatura di un personaggio. In poche parole, su quell'ambiente che, da sempre significa la riuscita di ogni iniziativa cinematografica. Rosi è stato il cineasta italiano che meglio ha saputo fondere due lezioni solo apparentemente contrastanti: quella di Rossellini e quella di Visconti. Ogni immagine di CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA sembra sfilare sullo schermo per ricordarcelo.


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