Frettolosamente promosso ad oggetto di culto da "Liberation" in primavera, strombazzato a Cannes dai padroni di casa che vincono sempre a Venezia ma mai sulla Croisette, Tenue de soirée è quello che si dice, sempre alla francese, un film "racoleur". E cioè non certo privo di attributi, ma in gran parte puttaneschi.Finisce così che una stelletta, per quel che vale, se la perde per strada in pochi mesi: quei pochi che bastano a smussare il potere di provocazione del film. Una provocazione ritentata ogni anno quando si avvicina la primavera: una volta è Adjani che si sfila le mutandine, un'altra Depardieu che se le mette, però di leopardo.
Il presunto coraggio di Tenue de soirée non sta tanto in quello che si fa (lui, lei e l'altro: solo che l'altro vuole andare a letto con lui), o in quello che si dice (che i dialoghi sono crudi ma piuttosto ben fatti), e nemmeno in ciò che si predica (siamo poveracci in cerca d'affetto e posto al sole, tanto vale dirci la verità senza mezzi termini).
Il coraggio sta nell'infilare il quintale e passa di Depardieu negli slippini da gay, di rovesciare i ruoli (il maschione che svilirizza, il palliduccio che si fa forte, la femminaccia che in casalinga). E di perseverare: ruotando questi rapporti di potere finché finiscono in una tragicomica roulette russa. Il tutto sorprende, diverte e fa stare al gioco: Blier, possibile che nessuno glielo abbia detto da piccolo, riesce a tutto, ma non a farlo durar poco.
Così filosofeggia, poetizza; e frana, inesorabilmente, a vizietto.