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IL COLORE DEI SOLDI
(THE COLOUR OF MONEY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 aprile 1987
 
di Martin Scorsese, con Paul Newman,Tom Cruise, Mary Elisabeth Mastrantonio, John Turturro, Iggy Pop, Forest Whitaker (Stati Uniti, 1986)
 
Al contrario della tela di un pittore - o della pagina dello scrittore - un film, è forse utile ricordarcelo, non nasce sempre allo stesso modo. Subisce, a parte i condizionamenti dell'autore, quelli collettivi di un'opera che è il risultato artistico-industriale di una somma d'iniziative individuali. Un film come Il colore dei soldi, brillantissimo per molti aspetti, dimostra come ciò avvenga anche per le personalità più determinate. Anche per quelle che investono in ogni loro opera una parte fortissima delle proprie preoccupazioni. Anche per i più grandi la legge del profitto, nel cinema più ancora che altrove è implacabile: Scorsese aveva fallito, nel 1983, il traguardo del botteghino con King of the comedy. Le conseguenze sono state la rinuncia al suo progetto più ambizioso (L'ultima tentazione di Cristo), la maturazione dl un film "piccolo" come Fuori orario (fortunatamente, come spesso capita in questi casi, diventato un grande successo pubblico e quindi finanziario) e quindi di uno "grande" ma di comanda, come IL COLORE DEI SOLDI.

La differenza fondamentale fra il capolavoro che è FUORI ORARIO ed il film brillantissimo che risulta essere COLOR OF MONEY non è quindi dovuto alla maestria del regista, che è fra le più alte del cinema di oggi. Ma al fatto che quest'ultima sua opera si trascina, fin dall'inizio, tre palle ai piedi: il fatto di essere il "seguito" di un successo precedente (LO SPACCONE, girato 25 anni fa da Robert Rossen), di essere un film su ordinazione (è Paul Newman l'ideatore del film) e di costituire una grossa produzione da gestire. After hours e Colour of money finiscono così per essere due film eguali e dissimili allo stesso tempo: eguali nella straordinaria qualità della loro fattura, nel taglio delle immagini, l'uso dei suoni e delle illuminazioni, il ritmo frenetico impresso quando è il caso dal montaggio, tutto ciò insomma che conduce a quella fisicità, indice di una passione quasi sconsiderata per la dinamica cinematografica, tipica di Scorsese. E dissimili: perché la bellezza, il fascino sottile (e quindi inquietante, che è proprio del soggetto del film) di AFTER HOURS nasce dal fatto che è un film imprevedibile. Una continua fuga in avanti, nei confronti delle intenzioni dell'autore e delle immagini che noi stiamo seguendo: un'opera che sfugge dalle mani, che si divincola in mille significati, aperture, rivelazioni. Il colore dei soldi è un grande prodotto hollywoodiano: condotto da una mano che riesce ad infondere personalità, ma ad un oggetto programmato nella propria perfezione. Diceva Baudelaire che è bello ciò che meraviglia: ora il piccolo Fuori orario ci sorprende infinitamente di più del grande Il colore dei soldi.

Come in ogni opera di Scorsese il film è un itinerario interiore, una progressione (un calvario, una redenzione, secondo le tematiche ben note che guidano l'autore di Taxi driver) del tutto spirituale. I viaggi di Scorsese si svolgono tutti all'interno dei personaggi, come quelli di Dostoevskij; e non, come quelli di Balzac, fra delle psicologie che attendono dl essere inserite in un contesto sociale o storico. Ecco quindi che anche questo mondo del biliardo, come quello della boxe di Toro scatenato (che è l'opera di Scorsese più vicina per diversi aspetti a questa), va preso in astratto, non certo come spaccato di vita, come ricreazione di un pezzo d'America. Piuttosto, come la storia di un padre (con un passato inquinato, se non corrotto, dalla ricerca del benessere materiale) alla rincorsa della tipica redenzione scorsesiana: un figlio da introdurre alle regole del mondo. Un figlio, poiché il cinema di Scorsese è fatto di discorsi sull'ambizione, il successo, la decadenza, che ben presto imparerà a capovolgere i ruoli.

Meno limpido di altre volte nel suo assunto morale, il film si afferma come una serie di prodezze virtuosistiche: il fascino delle geometrie dinamiche del biliardo è reso da Scorsese con una varietà d'invenzioni, una forza espressiva tali da riuscire spesso a tradurre fra le bocce colorate le tensioni esistenti fra i personaggi.

Ma la grande riuscita del film è probabilmente nella resa degli attori: un omaggio all'ormai mitico Paul Newman, una rivalutazione dell'insipido Tom Cruise di Top Gun, in un'interpretazione che imprime al film i ritmi (il balletto con la stecca di Cruise attorno ai tavoli) dello stile di recitazione, la magnifica ambiguità del personaggio dell'esordiente Mastrantonio. Più che un film sul biliardo, più che una meditazione sul ruolo del denaro (materializzato abilmente da quel continuo passaggio di mano in mano delle banconote fruscianti) Il colore dei soldi finisce col diventare una riflessione sul trapasso generazionale. Uno scontro che Scorsese, con la solita intuizione fuori dal comune, ha tradotto in termini di cinema: la recitazione di Newman, trattenuta, ponderata. E quella di Cruise, dirompente, esteriorizzata fino all'incoscienza.


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