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HANNAH E LE SUE SORELLE
(HANNAH AND HER SISTERS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 giugno 1986
 
di Woody Allen, con Woody Allen, Mia Farrow, Dianne Wiest, Michael Caine, Barbara Hershey, Max von Sydow, Maureen O'Sullivan, John Turturro (Stati Uniti, 1986)
 
"Il vero spasso, a proposito del comico più grande che abbia il cinema dei nostri giorni, è quanto continua a scrivere di lui la critica, spesso a corto d'argomenti. Per anni ha detto che faceva ridere, ma che non era capace a mettere in scena. Che la sua era una comicità da palcoscenico, ma sciupata al momento della trascrizione cinematografica. Poi, per un altro bel po', ha detto che si, Allen migliorava nel suo mestiere di cineasta, ma che la sua rimaneva una comicità di battuta, e non di situazione o, meglio ancora, d'invenzione visiva.

Infine, a partite da Interiors che era un suo film "serio" ma anche da Manhattan, ha detto ch'era diventato un grande regista. Ma che non faceva più ridere.

Con Hannah e le sue sorelle la storia si ripete: c'è tutta una parte della critica (solo una parte, è vero) che dice che il film ripete le solite cose (nuovaiorkesimo, ebraismo, bisogno d'affetto, paura della morte, ricerca di Dio) e che si ride un po' di più che in Interiors, ma un po' di meno che in Annie Hall, più di La rosa purpurea ma meno di Una notte di mezz'estate: qualcosa come se il valore di una tela di un pittore fosse direttamente proporzionale allo spessore dello strato di vernice, alla spesa per il materiale impiegato. Ancora e sempre, che si tratti di un film comico, di una commedia musicale o di un western ci si accanisce a soppesare il cosa, invece che badare al come: evidentemente Woody Allen continua a parlare delle cose di sempre nel suo ultimo film (come hanno fatto, per tutta una vita, Fellini o Antonioni, Bergman o Bunuel). Ma "come" lo fa? Con una lucidità, con un'armonia, con una sovrana serenità che sono quelle dell'artista giunto al culmine della propria visione poetica.

Se il precedente La rosa purpurea del Cairo valeva per un'idea forte, che poi condizionava il resto del film (quella dei personaggi del sogno cinematografico, che uscivano dallo schermo per dividere le miserie quotidiane degli spettatori), Hannah s'impone per la sua tranquilla compiutezza. Con questa cronaca familiare (dei soliti personaggi, nella solita Manhattan) il cineasta Allen ha compiuto la propria parabola creativa: dal comico esuberante, addirittura scialacquone, che in Prendi i soldi e scappa o Bananas buttava in pasto alla cinepresa decine e decine di trovate comiche, per immiserirle sovente nella messa in immagini, si è trasformato in un cineasta d'impeccabile maestria. Questa sua commedia brillante non ha nulla da invidiare alle più grandi, quelle di Wilder o di Hawks: c'è il medesimo senso del ritmo (osservate con quale tempismo Allen interviene col proprio personaggio comico, appena l'atmosfera tende al patetico, proprio come nella celebre lezione di Chaplin e di Keaton), la medesima compiutezza dei ritratti psicologici, il piacere dell'orchestrazione corale, dell'organizzazione armonica di un tutto che sfoci sull'analisi di costume, sull'affresco d'ambiente.

Allen è diventato un formidabile organizzatore di momenti cinematografici (non tragga in inganno l'incredibile facilità, la limpidissima discrezione dello stile che smorza sul nascere proprio come la battuta comica - la tentazione della sottolineatura): ma quello che sorprende è che questo suo apprendistato del mestiere cinematografico non lo abbia condotto al piacere puro e semplice della meccanica, allo schematismo.

Perché Allen, prima che cineasta, rimane un nostalgico. Si osservino gli inserti di cinema che gli introduce nei suoi film (in Hannah, come nella Rosa purpurea il protagonista risolve i propri problemi nel buio di una sala cinematografica) o si ascoltino le musiche del suo ultimo film: Count Basie, Harry James, Benny Carter assieme a Bach o Puccini. Per Woody, l'occhio sulla New York di oggi è posato nel segno del ricordo nostalgico dei valori (cinematografici, musicali) che hanno creato quei luoghi e quei personaggi. E da quell'ammirazione, da quella devozione nasce il calore dei suoi film, la sensibilità dei suoi personaggi, l'intelligenza delle sue citazioni.

Ripetitivo, un film come Hannah e le sue sorelle? Quando ad un regista riesce un ritratto dell'intelligenza, della poliedricità e della modernità come quello interpretato da Mia Farrow, quando ad un regista riesce di farlo quasi ridendoci sopra ed inserendolo in un'armoniosa visione d'assieme, è difficile non augurargli: cento di questi film, Woody!"


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