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GOTHIC Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 marzo 1987
 
di Ken Russell, con Gabriel Byrne, Julian Sands, Natasha Richardson (Gran Bretagna, 1986)
 
Le amicizie particolari e non che legavano i celebri scrittori e poeti inglesi Lord Byron, Percy e Mary Shelley non dovevano certo incantare gli spiriti calvinisti di quei primi anni dell'Ottocento.

Ken Russell, ex enfant terrible del cinema inglese di cui tutti ricorderanno gli allora scandalosi Music lovers, Women in love e Diavoli vari, lo sottolinea all'inizio ed alla fine del suo ultimo film, mostrando i turisti che sfilano davanti alla villa del lago Lemano, animati da sistematica più che morbosa curiosità.

Ma a Russell, come meravigliarcene, non interessa tanto illustrare vita e miracoli di quei trasgressori di genio. Se ci introduce nella villa ginevrina di quella notte tempestosa del 16 giugno 1816 è per farci partecipi (a modo suo, che ci dispiaccia o meno) dei segreti della gestazione artistica. In parole povere: perché proprio al termine di quella notte a Mary Shelley venne in mente di scrivere Frankenstein? Gothic è una storia (piuttosto confusa, diciamolo pure) di fantasmi, "ma è pure" - come spiega il regista - "un film sulla creazione, sul modo in cui le nostre paure, le nostre pulsioni più profonde partecipano alla creazione". Così il catalogo tradizionale dell'orrore (dai teschi ai tuoni, dai topi al sangue e via dicendo), accomunato a quello dei riferimenti freudiani, è un tentativo di ritornare all'archetipo creativo, alle origini di un genere: "In Gothic le paure, gli spaventi che descrivo sono delle paure collettive, delle paure che provengono dai tempi in cui avevamo timore dell'oscurità, in cui vivevamo nelle caverne. Sono paure che continuano ad esistere e che attendono di essere richiamate, di assumere forme mostruose...". L'orrido di Russell, che dovrebbe renderci partecipi di quel tipo di genesi, è un orrido di lusso. Nel senso che l'autore è uno che di regole (in senso perlomeno fotografico) se ne intende: Gothic è costruito sapientemente sulla luce. E sull'assenza di luce. Che Mike Southon, un direttore della fotografia da ricordare costruisce fin dalle prime sequenze del film. Ma in questo splendore (unito a quello della qualità degli effetti speciali) sta il pregio ed al tempo stesso il fallimento del film: dimentico non dico del racconto, ma della progressione drammatica, l'autore si compiace e si perde nel labirinto dei fantasmi superleccati. Dopo un paio di soprassalti il comune spettatore ci fa il callo: non solo non se la prende più, aspettandosi il peggio da ogni situazione, ma sprofonda nella noia di una divagazione oppiacea, che sempre meno tende ad apparirgli come un problema che lo riguardi.


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