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IL BACIO DELLA DONNA RAGNO
(KISS OF THE SPIDER WOMAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 dicembre 1985
 
di Hector Babenco, con William Hurt, Raul Julia, Sonia Braga (Stati Uniti - Brasile, 1985)
 
"Nella medesima cella di una dittatura sudamericana, Molina, condannato per una faccenda della buoncostume, e Valentin, giornalista, incarcerato per attività "sovversive". Omosessuale e specializzato in travestimenti vari Molina racconta ogni sera al suo compagno di cella la sequenza di un film. E 'il suo mezzo per rievocare la propria passione per la mitologia cinematografica e, ancor più, per soddisfare i propri fantasmi. Nato sull'onda del successo di Pixote (Pardo d'argento a Locarno) negli Stati Uniti, il film del regista brasiliano nasce con una intenzione precisa: quella di adattare un best-seller internazionale (il romanzo di Manuel Puig che ha accettato di collaborare anche alla sceneggiatura), di giocare la carta dell'attore. William Hurt, Burt Lancaster (che doveva in un primo tempo interpretare il ruolo di Valentin), la prima donna del cinema brasiliano Sonia Braga concorrono, oltre al "savoir-faire" di Babenco a fare di questo film un prodotto internazionale. O, se preferite, un prodotto destinato ad avere successo sul mercato statunitense. Talvolta l'aspetto di un film traduce il modo con il quale è stato prodotto. Il bacio della donna ragno conferma le doti di Babenco: la precisione nella fattura del film, l'attenzione nella direzione d'attori e l'abilità nella descrizione di ambienti claustrofobici. Ma il film rivela anche, ed in modo particolare, gli altri aspetti della vocazione "internazionalista" dell'opera. Prima fra tutti la passerella iperprivilegiata offerta agli attori: certo, William Hurt è bravissimo. Ma a Cannes, già prima di aver proiettato il film, già si giurava sulla sua Palma d'Oro all'interpretazione. Quando un film sfrutta ogni suo momento, drammatico o espressivo per celebrare l'esaltazione dei suoi attori, il risultato sfiora sovente l'accademismo.

Che Babenco sia un buon regista è un fatto ormai assodato. Meno che sia un grande regista: in un film tutto basato sulla traduzione in immagini del fascino dell'evocazione parlata (o scritta, se volete) sono proprio queste, le parole, ad imperare. Le immagini, a cominciare da quelle del sogno che dà il titolo al film, sono assai meno fascinose che in quelle che dovevano essere le intenzioni degli autori. Trattandosi di cinema, e di cinema sulla fascinazione e liberazione attraverso il cinema, non è cosa da poco."


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