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INNAMORARSI
(FALLING IN LOVE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 aprile 1985
 
di Ulu Grosbard, con Meryl Streep, Robert de Niro, Harvey Keitel (Stati Uniti, 1984)
 
Lui prende il treno, quello che alla mattina porta a Manhattan dai sobborghi di Long Island. Lei prende il treno. Lui scende alla stazione, si mischia alla folla, telefona a casa per sapere se tutto va bene in famiglia. Lei scende alla stazione, si mischia alla folla, telefona a casa. Lui, è la vigilia di Natale, va a comperare libri da Rizzoli. E lei pure. E quando s'incontrano, fisicamente, è per scontrarsi all'uscita, pacchetti che cascano e, naturalmente, pacchetti che si scambiano. Per cui sua moglie riceve un libro sulla pesca d'alto mare. E il marito di lei un libro sui fiori.

Innamorarsi sposa totalmente la formula della commedia sentimentale hollywoodiana. Compresa, come si è visto, l'occasione comica che segna il là, scandito dal Destino. Questo Breve incontro dell'era della procreazione in provetta non ricalca certamente le formule magiche per fare dell'ironia. O per riflettere sui momenti storico-sociali ai quali apparteneva quel cinema: come succedeva pochi anni fa - sembra una vita - con Altman, Pollack o Penn. Ora c'è il riflusso, Reagan, ed una voglia neo puritana di occuparsi di gente comune (e di ripetere di incassi di Voglia di tenerezza). Tutto prevedibile, in questa operina che si vuole tale: meno il fatto che i due non andranno a letto assieme, dopo una serie di infinite e pudiche esitazioni. Che i matrimoni reciproci si scioglieranno ciò malgrado (De Niro si prende anche una sberla dalla moglie che, di fronte alla sua credibilissima confessione non trova di meglio che di rifugiarsi dalla mamma coi bambini) e che la tentazione dell'happy end (cioè di giocare fino all'ultimo la formula della tradizione) sarà più forte di quella di operare secondo logica. La semplicità può essere esemplare. Perlomeno nella prima parte, la macchina dei miracoli americana s'impossessa di questo mutamento di ovvietà. Non è nemmeno il caso, per giudicare il risultato, d'immaginare cosa sarebbe successo, in un caso del genere, col cinema francese, o italiano, o non americano. Basta osservare la precisione impeccabile della sceneggiatura. Il suo modo di scandire i tempi della giornata, il trascorrere delle stagioni. Quell'osservazione del quotidiano, tipico del cinema americano, che ci conduce al meraviglioso, alla sorpresa che, come diceva Baudelaire, serve a tradurre il bello, e che ancora riesce a destare la nostra attenzione in una storiella vecchia come il mondo.

Non direi che Falling in love resista fino alla fine: dopo aver evitato lo scoglio del patetico (che rende superiore il film di Grosbard ad altri esempi di successo), inciampa nel simbolismo alla rotocalco (il treno che li unisce, il treno che li separa, quando la nostra si ferma per un attimo al passaggio a livello, rincorrendo l'ultimo incontro) per non parlare della verosimiglianza più decente (l'incontro bis, nel Natale bis, nella libreria bis, che serve a far coincidere il cerchio ma che è un insulto alla legge dei grandi numeri).

Quasi dimenticavo chi rende il film incrollabile: Bobby de Niro, of course (anche se sembra un tantino distratto, per uno che molla tutto per la bionda). E la bionda: in arte, è il caso di dirlo, Meryl Streep.


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