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IL SERVO DI SCENA
(THE DRESSER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 febbraio 1985
 
di Peter Yates, con Albert Finney, Tom Courtenay, Edward Fox (Gran Bretagna, 1984)
 
Il concetto, e la definizione di cinema "d'attore" è vecchio come il cinema stesso. THE DRESSERè, al tempo stesso, film su degli attori e film d'attori.

Su degli attori poiché descrive una di quelle figure ormai scomparse dal mondo teatrale anglosassone, l'attore-manager, che girava il Paese alla testa di una compagnia spesso squattrinata, che si riservava ovviamente il ruolo di protagonista confinando i colleghi ai margini dei riflettori. E che si ergeva a padrone assoluto, occupandosi della produzione, della regia, e dell'ultima delle comparse o dei macchinisti. Sir è uno di questi, quando affronta l'ultima recita, King Lear, di un'interminabile carriera. Gli è rimasto il solo appellativo di Signore: il nome l'ha perso passando i confini che separano i comuni mortali dagli eletti che vivono il mondo del Teatro. Ma c'è un altro modo per evadere dalla realtà: è quello di Norman, il servo di scena. L'unico che conosce l'intimità del padrone, che sostiene il fisico e la mente vacillante del vecchio ricordandogli i testi. Che accede così, cancellandosi come individuo nel reale e proiettandosi nell'identità del signore, al mondo eterno e significante della fantasia. Film su degli attori THE DRESSER lo è anche per lo stile preciso, attento alla pittura d'epoca, quasi documentaristico, scelto dal regista. Che trasforma in cronaca di costume (inserita oltretutto nel preciso periodo storico dei bombardamenti dell'ultima guerra) ciò che sarebbe potuto essere semplice divagazione fantasiosa.

Ma IL SERVO DI SCENA è anche film d'attori. Perché si fonda sulla presenza di due mostri sacri della celebre scuola teatrale inglese, Albert Finney (SOTTO IL VULCANO) e Tom Courtenay (FOR THE KING AND THE COUNTRY). Come ogni film d'attori (definizione che ha generato da sempre non pochi malintesi, primo fra tutti quello del teatro filmato) THE DRESSER diventa allora qualcosa di diverso: un trampolino di lancio, una passerella per l'esibizione spettacolare, ammirevole di due grandi attori. Elimina (un po' come fa Sir sul palcoscenico) i personaggi secondari, riduce il tutto ad un confronto di forze, ad una lotta di potere fra il servo e il padrone. Il tutto non privo, com'è ovvio, di reminiscenze brechtiane e di rinvii al celebre THE SERVANT di Losey. E à questo punto che dovrebbe intervenire la mano del regista: suo sarebbe il compito di ricondurre l'esibizione dei protagonisti in una geometria di significati che leghi la recitazione all'evoluzione drammatica della sceneggiatura, alla scelta determinante dei movimenti della macchina o d'inquadratura, al carattere dell'ambiente che contiene questi personaggi e che deve fondersi ad essi in una osmosi significativa.

Peter Yates sceglie (come ha scelto per tutta la sua carriera di camaleonte coscienzioso) di cancellarsi, di mettersi al servizio dei due mostri sacri. E questi, com'è naturale, non se lo fanno ripetere: Albert Finney si scatena nel ruolo (invero non sempre inedito) del vecchio istrione che si conta le rughe. Tom Courtenay, forse più sorprendente, campa il suo personaggio più patetico che gay con un brio travolgente che rasenta l'isterismo. Tutto ciò conduce dove doveva condurre, all'accademismo. Ma, trattandosi di attori che interpretano il ruolo di attori, non era lecito abbandonare le briglie? Alcuni momenti del film sembrano dare ragione anche all'autore del film, e non solo alla scuola di recitazione (la gloriosa Royal Accademy of Dramatic- Art di Londra, alla quale studiò anche Yates, e non solo i due protagonisti) di Finney e Courtenay. il film si fa allora non solo fonte di ammirazione, ma puredi emozione.

Così nello splendido finale, quando di fronte al cadavere di Sir, irrigidito in un ultimo dispotico sorriso, il servo si ritrova smarrito. Dopo un istante d'indignazione, per non esser stato ricordato nel testamento dell'attore, si abbandona disperato. E questa prostrazione totale, come di un burattino al quale siano stati tagliati i fili, riassume mirabilmente la psicologia del personaggio, che per tutta una vita aveva costruito la propria identità nel rapporto con l'altro. Un momento essenziale, in un film in parte prolisso, che ci mostra cosa avrebbero potuto dare, se guidati da una mano più imperiosa, due attori certamente straordinari.


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