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IL BACIO DI TOSCA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 agosto 1984
 
di Daniel Schmid (Svizzera, 1984)
 
Solo un documentario. Daniel Schmid giura che recandosi a filmare i pensionati lirici della Casa Verdi di Milano nei Natale scorso, non aveva in mente che di girare un tranquillo documentario di tipo televisivo. Conoscendo la filmografia del più visionario dei nostri cineasti, da Heute Nacht Oder Nie girato in sedici millimetri nell'albergo paterno di Flims al recente Hecate ambientato per i francesi a Tangeri, c'era poco da credergli. Ed infatti, Il bacio di Tosca non è un documentario.

Per una ragione assai semplice: filmando il mondo degli artisti, i loro ricordi, la loro condizione, Schmid non ha filmato la realtà. Quella realtà che, benché mediata dallo sguardo di un cineasta, da una sua scelta, è pur sempre la protagonista di un documentario. Ma qual è la realtà in una casa di riposo per artisti? Il bacio di Tosca deve il suo fascino e la sua poesia al modo con il quale ha sondato questo spazio sottile che separa il quotidiano di quello che è pur sempre un ospizio per anziani (filmato, ed è chiaro che questo è stato uno dei presupposti della troupe di Schmid, senza miserabilismo e tanto meno grottesco o caricaturale) da una realtà ricreata nella fantasia di personaggi che non sono semplicemente degli anziani. Ma degli artisti. Ecco quindi che la cinepresa entra nella Casa Verdi per la porta d'entrata, interrogando il custode, proprio come in un cinema che voglia semplicemente farsi testimonio di verità. Ma ecco anche che, ben presto, non tanto l'eccezionalità dei personaggi quanto la straordinarietà del loro vissuto che trasforma la memoria in spettacolo, impone al film una dimensione differente. Certo, il pubblico di Piazza Grande ha gridato, con uno degli applausi più sentiti dell'ultimo Festival di Locarno, la sua simpatia per dei personaggi originali, pittoreschi che degli artisti a riposo, grazie ad un loro indeperibile patrimonio umano e artistico, hanno saputo offrire.

Il regista non ha sicuramente imposto una sua finzione ai personaggi. Ed è per questo che, anche se fa talora pensare ad un certo Fellini (quello dei Clowns per esempio), Il bacio di Tosca resta quel documento che i suoi autori difendono. Ma questi personaggi sono stati sicuramente posti in una determinata situazione: quella di potersi dipartire dalia realtà per inventarsi una loro finzione. Proprio per aver rispettato questo diritto alla creatività dell'artista, per non aver confinato i suoi pensionati nel ruolo del monumento o peggio ancora della macchietta, Schmid ha evitato di ucciderli due volte. Offrendo loro qualcosa di più di una semplice possibilità di evasione.

Quando l'autore di La Paloma racconta i momenti del commiato dei cineasti dagli artisti ("mentre ci allontanavamo lungo il corridoio le anziane primedonne ci salutavano dicendo: presto, presto, andate via non vi girate!") non è soltanto del suo amore sconfinato per la lirica, o del sentimentalismo che così sapientemente riesce a sublimare nei suoi film migliori, che egli ci parla. Ma di un suo modo, personalissimo e umano di avvicinarsi al Mito. Il bacio di Tosca non è allora soltanto un documentario, ma una tappa, significativa nella sua semplicità, di quel prezioso cammino.


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