Il ritorno al testo originale di Edgard Buroughs è relativo, e concerne soprattutto la prima parte del film: giustamente sottolineato, per una lettura moderna del testo, è l'aspetto dell'opera che mette in risalto il conflitto fra la parte civilizzata e quella selvaggia che governa l'animo umano.

Il film funziona in modo particolare per la riuscita dell'ambientazione. Quella della prima parte, girata fra le scimmie vere e quelle ricreate con estrema bravura da Rick Baker (L'uomo degli effetti speciali di KING KONG, del LUPO MANNARO DI LONDRA e di una parte di GUERRE STELLARI), in una natura lussureggiante e fantastica, significa perfettamente il passaggio dall'animale all'uomo. E porta alla ribalta un altro elemento determinante per la riuscita del film: l'attore francese Christophe Lambert, perfetto nel fisico e nello sguardo anche se improvvisamente munito, al momento critico, di un panno provvidenzialmente cucitogli assieme non si sa bene da chi. Altrettanto sapiente, anche se meno convincente, la parte che descrive il ritorno dell'uomo-scimmia all'epoca vittoriana. Qui riaffiora l'accademismo di Hudson, l'estetica inappuntabilmente televisiva di quando si mette ad osservare il mondo "civile" britannico. E poiché, come l'amore, anche la regia non è polenta, se scricchiola lo sguardo cinematografico si smonta un po' tutto: non solo le maniere del Tarzan sembrano affinarsi ad una velocità inverosimile, ma la sua volontà di ritornare nella giungla, dopo aver conosciuto le delizie di una levigatissima Jane finisce con l'apparire altamente improbabile.