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FRANCES
(FRANCES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 ottobre 1983
 
di Graeme Clifford, con Jessica Lange, Sam Shepard, Kim Stanley, Anjelica Huston (Stati Uniti, 1983)
 
"Frances Farmer: stella della Paramount negli anni 30/40, un buon film con Howard Hawks ("l'attrice più dotata con la quale abbia lavorato"), una mezza dozzina di altri che le storie del cinema ignorano, girati fra il 1936 e il 42. Poi alcol, droghe, l'internamento in asili psichiatrici fino ad una lobotomia. Hollywood che esalta e glorifica e, in pochi anni, distrugge: una storia che abbiamo già sentito. Solo che Frances Farmer era qualcosa d'altro, oltre che una caratteriale (William Wyler: "La cosa più gentile che possa dire di lei è che era insopportabile"). Era una provinciale di Seattle che vinceva un premio scolastico con un tema intitolato "Dio è morto". Era una simpatizzante di sinistra che osava approfittare di un viaggio premio a Mosca. Era una diva del cinema che preferiva Broadway a Hollywood, il teatro alla celluloide, le idee alla gloria. Una relazione con Clifford Odets (descritto con ferocia nel film) e un matrimonio con un attore di carriera.

L'itinerario dell'attrice, da quando la seguiamo sedicenne mentre cerca di pensare con la propria testa a quando la presentano in televisione, lobotomizzata, sul finire del film diventa quindi ben preciso: il rifiuto della diversità, o se preferite della libertà, del sistema più celebre che il divertimento si sia offerto, Hollywood. Nel dipingere il destino più tragico che si ricordi per un protagonista del cinema americano, Frances denuncia con uno sdegno e una violenza che bisogna pur riconoscere l'ipocrisia di un mondo nel quale tutti avevano dovuto pascolare.

Paradossalmente il film cade proprio per le caratteristiche che voleva condannare, per il suo carattere hollywoodiano, per la sua approssimazione. Forse un Elia Kazan (The arrangement, tHe last Tycon) sarebbe riuscito a frugare con efficacia in quel nido di vipere. Ma Clifford è solo un onesto mestierante che, pur basandosi sulla collaborazione di grandi nomi (Laszlo Kovacs alla fotografia, gli scenografi di Elephant man e l'acume di Mel Brooks passato alla produzione), non riesce a sfumare nelle immagini gli schemi un po' grossolani della sceneggiatura. Così come non comprendiamo molto bene le ragioni che portano la povera Frances alla gloria altrettanto frettolose ci sembrano le tragiche ma roboanti immagini delle terapie psichiatriche americane degli anni quaranta per tradurci la spaventosa vendetta della società nei suoi confronti.

Rimangono gli attori. La madre, Kim Stanley la dipinge con l'accetta, che preferisce rimandarla in manicomio piuttosto che rinunciare ai suoi sogni di rivincita esistenziale. E, naturalmente, Jessica Lange. Esattamente ambigua, fiduciosa o velleitaria come sedicenne, seducente, fragile e ambiziosa come ventenne. Ferita, aggressiva nello scontro con la madre, dilaniata e finalmente sconfitta nel suo ritorno alla "normalità" l'attrice entra nel personaggio con una voglia e una disperazione che traducono tutta la forza del film.

La sua immagine rimane nel ricordo dello spettatore oltre la trasparenza degli schemi di una fattura modesta. Se Frances non è un grande film, se l'Oscar lo ha vinto Merryl Streep, Jessica Lange si è tolta una bella soddisfazione: la star che il cinema americano sta cercando da tempo è lei."


   Il film in Internet (Google)

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