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FINALMENTE DOMENICA
(VIVEMENT DIMANCHE!)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 aprile 1984
 
di François Truffaut, con J.L. Trintignant, Fanny Ardant (Francia, 1983)
 
Il cinema di Francois Truffaut è fatto di dichiarazioni d'amore. I suoi film (TIREZ SUR LE PIANISTE, JULES ET JIM, LA MARIEE ETAIT EN NOIR, DEUX ANGLAISES ET LE CONTINENT) sono qualcosa di più di semplici derivazioni letterarie: sono un omaggio a dei libri amati. E FAHRENHEIT, il racconto di fantascienza tratto da Bradbury addirittura un inno a tutti i libri stampati dall'uomo. Anche con quest'ultima sua fatica (che inaugurò l'ultimo Festival di Locarno) egli adatta un'opera letteraria, un giallo di Charles Williams. Ma anche per questa volta, si tratta di qualcosa di più.

"David Goodis (che Truffaut aveva rivelato allo schermo con TIREZ SUR LE PIANISTE, ndr.), William Irish o Charles Williams sono degli scrittori di libri gialli dei quali la critica americana non parla mai. Scrittori sotterranei, che stanno agli Hemingway, Mailer o Capote come gli attori da post-sincronizzazione stanno ai divi dello schermo". Ed ecco quindi, puntuale, l'omaggio: un film doverosamente in bianco e nero, una storia piena di mistero, di colpi di scena, di erotismo, proprio come quelle pellicole americane degli anni quaranta ai quali la letteratura poliziesca rinvia. Ma Truffaut da un lato è un cineasta troppo intelligente per rifare banalmente un giallo d'altri tempi: operazione improponibile ad un pubblico che conosce ormai tutti i trucchi del genere. Cineasta della leggerezza, dei sentimenti, della poetica dei sentimenti Truffaut non è creatore destinato a rispolverare i miti. Ed eccolo quindi trattare questa storia di un agente immobiliare sospettato, assieme all'amica che cercherà di discolparlo, di aver assassinato la moglie, con eleganza distaccata e con molta ironia.

Preso alla lettèra, sulla traccia del mistero, VIVEMENT DIMANCHE fa acqua da tutte le parti. L'intrigo non è credibile, le motivazioni sono confuse e tutto sembra appoggiarsi sulle spalle, forse non ancora sufficientemente solide, della protagonista Fanny Ardant. Goduto invece come un divertimento, come una parodia costellata da continui riferimenti agli specialisti del genere (da Renoir a Becker, da Lubitsch a Hawks), il film lievita per quella che è una delle caratteristiche principali del suo autore, la gioia, il piacere di filmare. Certo, un film fatto molto bene, ma fin troppo pensato in termini di regia. Un bell'oggetto: ma da un regista ormai maturo come Truffaut si chiede ormai qualcosa che s'iscriva nella continuità di un discorso.


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