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DULCES HORAS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 dicembre 1982
 
di Carlos Saura, con Asumpta Sema, Inaki Aierra (Spagna, 1982)
Un figlio indaga sulle ragioni che hanno spinto al suicidio la propria madre: per scoprire che questa lo aveva reso complice e testimonio privilegiato - suprema vendetta - della propria morte. A prima vista parrebbe un soggetto adatto a Hitchcock o Brian de Palma. Ma il regista non è uomo da interessarsi a sceneggiature diaboliche: dolci ore, s'intitola il suo film. La memoria dell'infanzia, quindi. La nostalgia, il trascorrere del tempo, le emozioni: ecco, questi sono dei temi più consoni all'autore di Cria Cuervos e Elisa vida mia.

Sennonché, il discorso su DULCES HORAS si ferma a questo punto. Poiché, se il film non è diabolicamente costruito per svelarci improvvisi misteri, nemmeno ci rinvia a dolci rimembranze. Né, tantomeno, sui tortuosi e forse rivelatori cammini che conducono all'incesto: il grande tema del film, continuamente accennato, e mai affrontato. Sono i limiti del film e di un autore (si pensi anche a Deprisa, Deprisa) sicuramente in crisi espressiva.

Questo cinema di Saura sembra voler evitare gli scogli della dialettica per dedicarsi, narcisisticamente compiaciuto, al quadro che dovrebbe ordinare questa dialettica. Dulce horas è fatto di quegli elementi di linguaggio che hanno reso giustamente noto il massimo cineasta spagnolo dopo Buñuel: arte di organizzare il trascorrere del tempo, intercalando il presente al passato, la realtà alla finzione, il realismo al fantastico. Ma nel film questo tipo di esercitazione rimane del tutto accademica. E quindi altamente stucchevole.

Condotto sul filo della ben nota distanziazione brechtiana è una sorta di catalogo sull'uso della dissolvenza, della panoramica, della illuminazione frontale. Nessun flash-back, per contro: Saura ha inventato, si fa per dire, il film nel fflm. Degli attori che recitano, seguendo accuratamente un testo, il dramma del protagonista medesimo. Quindi l'attrice che interpreta la madre (il viso sensibilissimo di Asumpta Serna, che finisce col costituire il solo motivo d'interesse per lo spettatore) è la stessa che impersona la fidanzata del protagonista. E questi talora è bambino, talora conserva le fattezze di adulto per accoccolarsi in grembo alla madre...

Una lezione alla rovescia, quindi: come un linguaggio sapiente, usato per mero compiacimento, rende un soggetto del tutto privo di interesse. Se poi consideriamo la natura di questo soggetto è lecito auspicare che, se proprio ci tengono a rispolverare il sempiterno Edipo lo facciano, di grazia, con un filo di originalità.


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