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ANNI DI PIOMBO
(DIE BLEIERNE ZEIT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 marzo 1982
 
di Margarethe von Trotta, con Barbara Sukowa e Jutta Lampe (Germania, 1981)
 
Esistono dei film, e non solo dei film, il cui interesse umano, o sociale, o storico, o morale viene ad anteporsi violentemente a quello artistico. E che ci impediscono quindi quel tipo di approccio, diciamo pure prevalentemente linguistico, che predilegiamo. ANNI DI PIOMBO, il film della von Trotta che ha vinto all'ultima Mostra di Venezia appare poi abbastanza puntualmente sui nostri schermi, ma purtroppo in edizione tedesca senza sottotitoli. Sarebbe quindi poco onesto darne un giudizio definitivo.

Ma le tre stellette alla traduzione cinematografica della vicenda ormai celebre di Christiane e Gudrun Ensslin, la terrorista tedesca morta in circostanze poco chiare nel supercarcere di Stammheim, vanno comunque al grande impegno civile di questo cinema tedesco che ancora una volta riapre ferite mai cicatrizzate, tormenta una coscienza incessantemente rimessa in questione con una lucidità al tempo stesso commovente quanto rivelatrice. E le tre stellette devono anche sottolineare questa presenza del cinema alle scadenze non solo della storia ma ormai dell'attualità. Come nel film di Wajda L'UOMO DI FERRO, e forse con ancor maggiore rigore, il cinema riafferma così il proprio ruolo non solo di arte popolare del nostro secolo ma della propria capacità di tradurre e analizzare il presente.Ma, al di là di queste considerazioni il cinema rimane pur sempre un fatto di interpretazione artistica della realtà: ed è proprio per questo che ANNI DI PIOMBO (ed infatti Margarethe von Trotta non si e stancata di ripeterlo) non è un film sul terrorismo. Non spiega cosa sia il terrorismo, e non ci rivela nemmeno quello che l'autrice pensi del terrorismo. Il sentimento di insoddisfazione che lo spettatore può provare al termine (per aver atteso invano di sapere "chi" aveva ragione nella storia) dipende proprio da quella natura del cinema. Ed è quindi inutile rimproverarlo alla regista. Che ha saputo, comunque, filmare il privato per legarlo a tratti al pubblico con una forza convincente. Privata, e ormai assai nota, è la vicenda ad una prima lettura. Juliane e Marianne sono le figlie della Germania dei bombardamenti, ma anche di un padre intransigente, un pastore protestante che impone alla famiglia il rigore nei gesti come nei sentimenti. Juliane si ribella a casa come a scuola. E Marianne e invece dolce e ligia. Poi giunge l'adolescenza, e l'epoca della contestazione. E, inaspettatamente, Juliane continua a contestare, ma nel sistema, dedicandosi alla redazione di un giornale femminista. Mentre la remissiva Marianne diviene una terrorista. Rinchiusa nel carcere di Stammheim assieme ad Andreas Baader Marianne-Gudrun Ensslin morirà, ufficialmente suicida, nell'autunno tedesco del 1977. E Juliane-Christiane Ensslin scriverà un libro, cercherà di riaprire il caso giudiziario, di dimostrare l'omicidio della sorella. Tutto questo la regista lo racconta come una storia di famiglia, basandosi essenzialmente su due elementi cinematografici fra quelli a disposizione: gli ambienti, e gli attori. Gli ambienti che sono quotidiani (L'appartamento nel quale Juliane vive con un architetto, la redazione del giornale femminista) e nei quali l'intrusione del dramma del terrorismo avviene con ferocia amplificata. Oppure stranianti, come quello del carcere di Stammheim, che la von Trotta inquadra sapientemente nella sua allucinante facoltà di annullamento della personalità umana. In ambedue sono collocati gli incontri delle due sorelle. E se qui la tragedia del presente e la tenerezza (ma anche la riflessione) del passato s'intrecciano con un intimismo meraviglioso (la sequenza nella quale le due sorelle, sotto lo sguardo dei kapò, si scambiano improvvisamente i maglioni), il tutto lo si deve a Barbara Sukowa e a Jutta Lampe che vivono le loro parti con una sensibilità, e una bravura, commoventi.

Il film, esaminato freddamente, non è privo di cadute: la parte che segue la morte di Marianne e troppo spiegata. Il viaggio in Italia di Juliane alquanto di maniera. E certo le motivazioni, soprattutto quelle della sorella terrorista sono, se non unilaterali, perlomeno insufficientemente analizzate. Ma il film, come detto, ha il merito di saper dilatare la propria riflessione.

Quando conclude sulle immagini del figlio della Ensslin che vuol sapere la verità, quando al telefono la sorella si sente rispondere che la sua è una storia ormai classata e che non interessa più nessuno, allora il film della von Trotta riprende il messaggio di NOTTI E NEBBIA, il capolavoro di Resnais sui campi di concentramento nazisti, le cui sequenze compaiono insistentemente in ANNI DI PIOMBO: per la Germania di oggi, ancor più di quella di allora, il dramma non è quello di non poter dimenticare, ma piuttosto quello di non dover dimenticare.

E in questo senso l'importanza del film come documento ne trascende i limiti artistici


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