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1997 - FUGA DA NEW YORK
(ESCAPE FROM NEW YORK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 dicembre 1981
 
di John Carpenter, con Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasenc (Stati Uniti, 1981)
 
"Chi è uscito deluso dai Predatorl dell'arca perduta può sempre tentare di rifarsi con quest'ultimo film di John Carpenter, girato e lanciato sul mercato con meno storie. I due film hanno non poche cose in comune, oltre al fatto di indirizzarsi a quel pubblico di ragazzini che, in misura sempre maggiore, sembra costituire l'ultima spiaggia per i venditori del prodotto cinema. Sono film pragmatici, perché mirano prima di ogni altra cosa a fare spettacolo. Sono film di cinefili perché riconsiderano nelle formule di linguaggio utilizzate dei momenti ben precisi della storia e del mito cinematografico. Sono dei film che s'ispirano ai modi di racconto e di illustrazione contemporanei, come il fumetto, o il film a episodi televisivo; o ancora, per il film di Carpenter, all'estetica dei gadget Detto questo, sottolineiamo il fatto che il film di Spielberg guarda in un certo senso indietro, poiché si occupa della memoria dl un certo tipo di avventura, mentre quello di Carpenter volge uno sguardo al futuro, poiché tratta di fantascienza. riconosciuto anche che una parte del carattere "gratuito" dei Predatori fa parte del gioco, è difficile non concedere a questo 1997 fuga da New York certi agganci ideologici che lo rendono più interessante del film di Spielberg.

Il tema è quello di una anticipazione non poi così lontana: alla fine degli anni ottanta, in seguito ad un aumento terribile della criminalità, Manhattan è diventata un'immensa oasi di violenza. Gli uomini al potere l'hanno circondata di un muro invalicabile, e Nuova York è stata così trasformata in un immenso penitenziario, in un ghetto nel quale sono confinati tutti gli asociali. Ritroviamo qui alcuni dei temi cari all'autore di ASSAULT, di HALLOWEEN e di FOG: quello, appunto di una città e di una civiltà minacciate dalla barbarie; l'estetica di una decomposizione e di una decadenza sociale, l'idea di un Male che è radicato nella natura umana, e che gli sforzi di pochi uomini di buona volontà non riescono ad estirpare da un mondo governato nell'indifferenza e nell'egoismo. Pur tenendo conto che il film nasce, come detto, per fare soprattutto dello spettacolo, il modo con il quale questi temi affiorano tra i risvolti del racconto è a tratti affascinante. Condotto su una fotografia e ancor maggiormente su una scenografia di altissimo livello, il film gioca meravigliosamente con le tenebre e i silenzi. Carpenter ha il dono di trasformare il quotidiano in paesaggio mentale, così dal buio del film affiorano soltanto i colori sgargianti dei gadget. O dal sottosuolo della metropoli abbandonata gli echi di una minaccia latente ma mai identificata. Carpenter si conferma così maestro del fantastico: e anche lui, intendiamoci, maestro di furbizia. Poiché, nella seconda parte a furia di aggiungere carne sul fuoco, il discorso morale, ammesso che ci fosse, scompare. Rimangono le formulette dello spettacolo, abilissime ma certo non esaltanti. "


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