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FLASH GORDON Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 gennaio 1981
 
di Michael Hodges, con Sam Jones, Ornella Muti, Max von Sydow, Mariangela Melato (Stati Uniti, 1980)
 
C'è gente alla quale non piacciono i fumetti; altri che non sopportano la fantascienza. A tutti questi, ovviamente, consiglieremo di lasciar perdere FLASH GORDON. Agli altri, a coloro ai quali non dispiace andare a frugare nel meraviglioso, un meraviglioso fors'anche di facile invenzione tecnologica, diciamo pure di andare a distendersi con questo film di Michael Hodges, regista inglese che pare abbia fatto finora dei caroselli e che quindi tutti ignorano dicendo che l'opera va accreditata al produttore, Dino de Laurentiis. Personalmente confesso di essermi sempre interessato di fumetti solo marginalmente: mi è quindi assai difficile giudicare se lo spirito delle avventure del personaggio degli anni Trenta sia stato tradito dal film. Egualmente non so dirvi se il film rispetti o meno quei canoni della fantascienza con la effe maiuscola che gli ammiratori di Bradbury o di Asimov sicuramente reclamano. Nemmeno so dirvi se questo è un film per ragazzi o adulti, perché non ho mai compreso bene la differenza. Esistono semplicemente, direi, film ben fatti, e altri fatti male. Se i primi trovano un pubblico, giovane o meno, dipende da molti fattori che andrebbe per le lunghe esaminare qui. Se anche i secondi ne trovano uno, di pubblico, dipende allora da quelle degenerazioni della nostra epoca, delle quali non soltanto il cinema testimonia.

FLASH GORDON non è sicuramente esente da pecche. Probabilmente perché non è girato da un cineasta maturo come il Kubrick di ODISSEA, il Lucas di GUERRE STELLARI, il Boorman di ZARDOZ. La più vistosa di queste pecche è il fallimento del tentativo di attualizzazione. Perché fosse necessario legare questo povero Flash Gordon alle mode discutibili dei nostri tempi non so dirvelo: quello che è certo è che le allusioni a Mke Bongiorno, o frasi tipo "me ne sbatto le ali" messe in bocca agli altrimenti godibilissimi uomini-falco, abbassano il film al livello delle farse goliardiche. Ma quanto di tutto ciò è dovuto alla copia italiana dei film?

Detto questo, FLASH GORDON si lascia vedere. C'è innanzitutto un tono piacevolmente rilassato in questo film: un lasciarsi andare senza troppi sottintesi ai piaceri delle formule del racconto di avventura. Questo Gordon che fa appena in tempo a sfuggire alle più spaventose sabbie mobili per ricadere immediatamente nelle fauci di un gigantesco mollusco intrastellare, che passa di disgrazia in disgrazia con la più straordinaria incoscienza, finisce col diventare simpatico. E farci dimenticare la sua faccia ottusa allevata a popcorn. Questo ripercorrere le formule più abusate del soprassalto cinematografico, questo ridarci un Tarzan alle prese con motorette a reazione sa molto, non soltanto di sano divertimento, ma anche di intelligente e moderno ripensamento di certi linguaggi. A tutto ciò non sono sicuramente estranei i due maggiori creatori che il film rivela, lo scenografo John Graysmark ed il costumista Danilo Donati. Grazie al loro apporto il film s'indirizza subito su una dimensione che non è certamente quella perfetta e sapiente dei film di Lucas o di Spielberg, ma che è di divertita e sfrenata fantasia. Cieli colorati come caramelle, abiti non si sa se strampalati o funzionali contribuiscono a sottolineare il carattere fiabesco del tutto. Arte del buon vecchio soprassalto, più musica, più erotismo: ce n'è a sufficienza per creare una specie di opera-pop che vale quelle più pretenziose di Ken Russell.

Perché la musica è, a tratti, abilissima: il coretto che ripete in modo sincopato "fiash-fiash" mentre la galassia impazza, ricorda le riviste di Macario, e va benissimo. E così Ornella Muti che, incappucciati i labbroni, si porta a spasso impossibili ed eloquenti tute di lamé rosso porpora. Qualcuno ha detto che nel film si è perso tutto il sex-appeal delle celebri donnine disegnate da Alex Raymond. A me non pare; ma, per carità, c'è già il cinema ad essere una questione fin troppo soggettiva per metterci a discutere sull'effetto delle tute di Ornella Muti.


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